Femminicidio: Quando l’Amore Diventa Terrore

Il femminicidio, è un argomento di grande attualità, e la cronaca ci informa di episodi di una mostruosità tale da lasciarci spiazzati. Lo scenario sta assumendo contorni drammatici: nell’ ultimo decennio il numero di donne uccise ad opera di compagni/mariti violenti o di ex partner che non accettano il nuovo status di ex è in continuo aumento. Tragedie che spesso non si concludono con l’uccisione della coniuge, ma che portano dietro ulteriori tragedie: si pensi ai tanti bambini orfani che si ritrovano senza madre e con un padre in carcere. 

Sono loro, le vittime aggiuntedi cui poco si parla ma sulle quali ricadono le pene più gravi. Vien spontaneo chiedersi perché un uomo, che dice di amare, diventi violento e aggressivo. La lettura psicologica, condivisa in dottrina, sostiene che ogni volta che un uomo ha atteggiamenti violenti, questi nascano da un sentimento di helplessness, ossia di fragilità non accettata e rigettata, da cui conseguono atteggiamenti violenti. Si resiste a questa fragilità, frutto di insicurezza, picchiando, inveendo e offendendo. 

La risposta violenta è quasi un tentativo (distorto) di controllare il turbamento interiore, derivato da un sentimento di umiliazione che non può essere accettato perché svilisce e annichilisce la figura del “maschio muscolare”. Spesso queste persone sono cresciute in ambienti violenti, hanno subito umiliazioni e maltrattamenti dalle figure di riferimento. È ampiamente risaputo che se un bambino assiste sistematicamente a episodi di violenza da parte di un genitore verso l’altro o verso un fratello o se, essi stessi subiscono violenza, è più facile che poi utilizzi la violenza come strumento principale di relazione quando si trova in condizioni stressogene.

La famiglia è un collegamento a doppio filo con il nostro passato e un ponte verso il nostro futuro, e ha la responsabilità prima nella crescita “sbagliata” dell’uomo. La violenza intra-familiare, la violenza di genitori a loro volta maltrattati e che divengono maltrattanti è all’origine di gran parte dei comportamenti violenti. Bambini umiliati svilupperanno maggiore dipendenza dai genitori abusanti e tenderanno a riprodurre rapporti di maltrattamento nell’età adulta. Il rischio sotteso è quello di “costruire” persone che a loro volta replicheranno tale schema, maltrattando le loro compagne. Donne con temperamento forte e coriaceo riescono a denunciare e uscire fuori da relazioni violente, altre restano invischiate in un meccanismo che col tempo le stritola e le conduce in un tunnel senza uscita, in quanto sviluppano relazioni di dipendenza, accettazione o tolleranza nei confronti dei loro aguzzini. Sono donne che sviluppano la cosiddetta Sindrome di Stoccolma, ossia uno stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica. Il soggetto affetto da tale sindrome, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza tra vittima e carnefice. Ecco perché è fondamentale che le donne imparino a riconoscere da subito situazioni potenzialmente rischiose. 

Un uomo violento non cambia con l’amore di una donna, ma è “curabile” se saprà conquistare la consapevolezza del suo limite e leggerlo in una rielaborazione dolorosa ma necessaria attraverso un percorso psicoterapico. L’amore non può essere ricambiato con schiaffi, pugni e insulti. L’ammissione delle proprie debolezze accompagnata da fiotti di lacrime che sanno di un pentimento momentaneo e poco convinto, non deve ingannare, perché l’amore ha una faccia differente dalla violenza, dal controllo estenuante, dall’annichilimento della personalità e dall’esclusività esigita e imposta che toglie fiato ad ogni tipo di relazione umana.