Binge drinking: tutto quello che devi sapere per proteggere i tuoi figli

Danilo Littarru

Nel tempo in cui ci si interroga sulle molteplici forme di fragilità adolescenziale con le sue vertiginose ascese nei cieli stellati della gioia e della speranza, e con le sue discese negli abissi dell’insicurezza e della disperazione, mutuando le parole del grande psichiatra-saggista Eugenio Borgna, dobbiamo soffermarci, ancora una volta, su un fenomeno che allarma e desta crescente preoccupazione poiché evidenzia un’ulteriore sfaccettatura del disagio adolescenziale. Parliamo del binge drinking, ossia la pratica delle abbuffate alcoliche che consiste nell’ingurgitare d’un fiato sei o più bicchieri di alcolici e super alcolici per avvertire l’ebbrezza degli effetti psicoattivi del classico “sballo”. L’ introito eccessivo di alcol è in grado di elevare la pressione sanguigna, i livelli di colesterolo e di zuccheri nel sangue determinando condizioni che accrescono il rischio di eventi acuti a livello cardiaco (infarto del miocardio), danni epatici (cirrosi) ma anche sterilità sia nei maschi che nelle femmine.

Ulteriori danni si possono verificare a carico del cervello, considerato che tra i 12 e i 25 anni a livello cerebrale avvengono importanti modificazioni anatomiche e funzionali che favoriscono la maturazione emotiva, cognitiva e comportamentale dell’individuo, considerato che il cervello in quella fase di crescita è ancora immaturo e quindi molto più vulnerabile. In questo senso, l’attrazione per la tempesta di piacere scatenata da esperienze nuove, coinvolgenti e condivise come quella della sbornia da superalcolici, supera la valutazione dei rischi e non tiene conto delle ricadute sulla salute. 

L’alcol, infatti, agisce sui meccanismi cerebrali di ricompensa generando una sensazione di euforia e piacere che induce l’adolescente a risperimentare l’esperienza piacevole replicando le abbuffate con dosi sempre maggiori che portano a sviluppare tolleranza e lo avvicinano ad una vera e propria dipendenza. 

I dati pubblicati dalla relazione del ministro della Salute al Parlamento sugli interventi realizzati ai sensi della legge 30.3.2001 n. 125 in materia di alcol e problemi alcol correlati – relativi all’anno passato – evidenziano un aumento dei consumatori occasionali di alcol (specialmente fuori pasto e di sesso femminile) e dei praticanti del binge drinking, un fenomeno che tocca da vicino il 15% dei giovani. Si stima che oggi i binge drinker tra gli undici e venticinque anni siano quasi un milione. Uno studio italiano pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports condotto su più di 2.700 alunni minorenni e neo-maggiorenni frequentanti scuole secondarie romane ha messo in luce che l ’80% del campione ha dichiarato di consumare bevande alcoliche, nonostante sia a conoscenza del divieto imposto dalla legge italiana, sottolineando una preoccupante disinformazione sui rischi e sulle ricadute psicofisiche.

In una società frenetica e ossessiva come quella nella quale viviamo, votata all’eccesso e alla minimalizzazione degli eccessi, derubricati come goliardate o ragazzate, anche una pratica così pericolosa rischia di essere letta come una compensazione alla noia, o come “riempimento” di un vuoto esistenziale e relazionale. È altresì vero che in alcuni casi la sbornia e l’abbuffata possono essere una strategia di automedicazionemessa in atto dall’adolescente nel tentativo di velare o attenuare una risposta soggettiva di insicurezza e ansia di fronte alle sfide evolutive (relazionali, prestazionali, sociali), ma su numeri così crescenti occorre impiantare un discorso più strutturato sui rischi; la scarsa conoscenza e superficialità nella valutazione dei rischi sono il binomio nocivo che provocano nel mondo quasi un milione di morti ogni anno, pertanto appare precipuo legare a doppio filo l’informazione alla formazione della persona, riproponendo un’antropologia di fondo che sia capace di raccordare prevenzione e cura, senza trascurare le ricadute sulla collettività in termini economici. 

Si pensi al costo del personale sanitario coinvolto nei soccorsi, ai mezzi utilizzati, alle forze dell’ordine sovente coinvolte, aspetti questi che passano in second’ordine, ma che dovrebbero essere centrali nell’analisi e nella valutazione del fenomeno. Potrebbe fungere da deterrente coinvolgere nella ripartizione delle spese anche le famiglie dei minori, in modo che possano essere più attive nel controllo del proprio figlio, impegnandole successivamente in un percorso psico-pedagogico con equipe specializzate, al fine di sensibilizzarle ad una genitorialità strutturata, capace di trasmettere la libertà e  al contempo di educarli a scelte responsabili e rispettose della propria persona e dell’alterità.

Educare, così assume la dimensione più nobile: educarsi nella reciprocità, in uno scambio di intenti cui l’ascolto e il sostegno diventano pietre angolari su cui deve poggiarsi la relazione umana.