Blog

  • Bed Rotting: il fenomeno del “restare a letto”

    Bed Rotting: il fenomeno del “restare a letto”

    Introduzione

    Negli ultimi mesi, soprattutto nei social network frequentati da giovani e adolescenti, ha preso piede un termine suggestivo: bed rotting. Tradotto letteralmente, significa “marcire a letto”. Dietro questa espressione volutamente provocatoria si cela una pratica diffusa: trascorrere intere giornate a letto, tra serie tv, scroll infinito, snack e inattività, quasi a voler sospendere il mondo esterno.

    Ma di cosa si tratta realmente? È un semplice trend o un campanello d’allarme psicologico?

    Un sintomo mascherato da “self-care”

    Il bed rotting viene spesso presentato come una forma di auto-cura: concedersi una pausa radicale, spegnere gli impegni e rifugiarsi in uno spazio protetto. In alcuni casi, brevi momenti di questo tipo possono avere una funzione rigenerativa, soprattutto in contesti di stress acuto.

    Tuttavia, diversi studi di psicologia clinica segnalano che l’inattività protratta è strettamente correlata a sintomi depressivi, disregolazione emotiva e comportamenti di evitamento. La ricerca condotta da Henkel e colleghi (2010) mostra come l’eccessiva permanenza a letto sia un predittore di disturbi depressivi maggiori e di peggioramento della qualità del sonno.

    La cornice psicopatologica

    Il bed rotting può essere letto come una risposta passiva a:

    • ansia scolastica e lavorativa, dove il letto diventa rifugio;
    • burnout: negli studenti universitari, la sindrome da esaurimento si traduce spesso in inattività prolungata;
    • depressione: il sintomo cardine è proprio l’anedonia, ossia l’incapacità di trarre piacere da attività quotidiane.

    Uno studio pubblicato sul Journal of Affective Disorders (2022) ha evidenziato come la “ruminazione a letto” sia strettamente legata all’aumento di pensieri negativi e all’aggravarsi della sintomatologia ansioso-depressiva.

    Psicologia delle nuove generazioni

    Non va trascurato l’aspetto culturale. Nella Generazione Z, l’atto di “restare a letto” viene talvolta rivendicato come gesto politico contro l’iper-produttività e il culto della performance. Tuttavia, la linea di confine tra resistenza culturale e rischio clinico è sottile: quando il bed rotting diventa abitudine costante, può trasformarsi in un circolo vizioso di isolamento e perdita di motivazione.

    Strategie di intervento clinico

    Uno psicologo clinico, di fronte a questo fenomeno, non si limita a stigmatizzare, ma:

    • indaga funzioni psicologiche e contesti relazionali che portano al ritiro;
    • lavora su tecniche di attivazione comportamentale, per spezzare il ciclo dell’inattività;
    • incoraggia la regolazione del ritmo sonno-veglia, compromesso da lunghe permanenze a letto;
    • utilizza strumenti di psicoeducazione per distinguere riposo rigenerativo da evitamento patologico.

    Conclusione

    Il bed rotting non è soltanto un trend social, ma un fenomeno clinicamente rilevante, specchio di un malessere diffuso nelle nuove generazioni. Se da un lato può rappresentare un momentaneo bisogno di riposo, dall’altro rischia di celare forme più gravi di disagio psicologico.

    In questo senso, come ricorda il DSM-5, l’elemento discriminante non è il comportamento in sé, ma il grado in cui esso compromette il funzionamento sociale, scolastico e lavorativo.

  • Perché Agostino è più attuale di Freud

    Perché Agostino è più attuale di Freud

    La confessione come atto di verità

    Nel tempo in cui l’“io” si moltiplica in selfie e diagnosi, dove la confessione ha perso la sua dimensione sacra per farsi narrazione social o seduta di terapia, riscoprire Agostino può non solo sorprendere, ma persino guarire.

    Il vescovo d’Ippona non si limita a raccontare sé stesso: egli interroga l’abisso dell’anima, cercando in ogni battito interiore il riflesso di un Altro. Nelle Confessiones non c’è solo autobiografia, ma una forma radicale di autocoscienza, un’apertura alla luce che scandaglia il cuore più di quanto non faccia l’interpretazione dei sogni.

    Agostino e Freud: due modelli di profondità

    Freud ha aperto le porte dell’inconscio, ma Agostino ha abitato le stanze della coscienza. Il primo cerca le cause nascoste, il secondo cerca il senso. Freud decifra, Agostino ascolta. Entrambi scavano, ma con utensili diversi: lo psicoanalista con la parola analitica, il teologo con il silenzio orante.

    Se Freud ha dato voce ai traumi, Agostino ha dato voce al desiderio che salva. Non è forse questo il nodo cruciale? Oggi la psicologia rischia di fermarsi all’origine del male, mentre Agostino osa chiedere: “Che cosa amo, quando amo il mio Dio?” (Confessioni X,6,8). Una domanda che oltrepassa il passato per orientare il futuro.

    Il cuore inquieto dell’uomo moderno

    Agostino sapeva che non si guarisce solo comprendendo, ma orientando. In un tempo in cui l’analisi spesso si chiude nell’autoreferenzialità dell’“io ferito”, egli offre una via ulteriore: la trascendenza.

    Scrive: “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Conf. I,1,1). Un’inquietudine che non cerca solo una spiegazione, ma una casa.

    Freud leggeva i simboli, Agostino li abitava. Il primo era medico dell’inconscio, il secondo pellegrino del cuore.

    Perché Agostino è più attuale

    Oggi abbiamo strumenti diagnostici, terapie brevi, app per la meditazione e per il respiro. Eppure la fame d’interiorità resta. Anzi, cresce. In questo scenario iperanalitico e spesso iperfragile, Agostino parla con forza nuova.

    Perché non offre tecniche, ma uno sguardo verticale.

    Perché non propone la “liberazione dai sintomi”, ma l’integrazione dell’essere.

    Perché non cerca semplicemente la causa del dolore, ma l’origine del senso.

    Agostino non è un’alternativa a Freud: è la sua profondità perduta. La sua introspezione teologica è ciò che manca a una psiche che ha dimenticato l’anima.

  • Open School del Terzo Paradiso

    Open School del Terzo Paradiso

    La scuola parentale che rivoluziona l’educazione.

    Introduzione

    Negli ultimi anni la città di Biella è diventata un laboratorio educativo internazionale grazie alla nascita della Open School del Terzo Paradiso, un progetto scolastico parentale complementare alla scuola statale. Nato nel 2021 su iniziativa di Cittadellarte – Fondazione Pistoletto e dell’associazione Associazionedidee, questo modello ha attirato l’attenzione di pedagogisti, famiglie e ricercatori di tutta Italia. La sua originalità risiede nella capacità di coniugare arte, comunità ed educazione, secondo i principi del “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto e del concetto di Learning Arcipelago.

    Che cos’è l’Open School del Terzo Paradiso

    L’Open School non è una semplice scuola privata o un doposcuola innovativo. È una scuola parentale complementare, riconosciuta come esperienza educativa autonoma ma in dialogo con il sistema scolastico nazionale. Accoglie bambini tra i 6 e gli 11 anni e propone un percorso che integra le discipline tradizionali con laboratori di arte, natura, filosofia, educazione civica, digitale e performativa (si pensi all’uso del circo come strumento didattico).

    Al centro vi è la visione che “l’educazione è un ecosistema”, non confinato nelle mura scolastiche ma diffuso nei luoghi di cultura e di comunità: musei, biblioteche, cooperative sociali, spazi urbani, orti condivisi.

    Il modello pedagogico: il Learning Arcipelago

    La filosofia educativa dell’Open School si ispira al concetto di Learning Arcipelago, ossia un arcipelago di luoghi e saperi collegati da ponti e connessioni. Non una scuola-isola, ma una scuola-rete.

    I tratti distintivi:

    • Didattica diffusa: la città e il territorio diventano aula estesa.
    • Comunità educante: genitori, insegnanti, artisti, operatori sociali partecipano al progetto.
    • Interdisciplinarità: arte, scienza e tecnologia dialogano costantemente.
    • Governance partecipata: le decisioni educative sono frutto di co-progettazione tra famiglie, docenti e partner istituzionali.

    Si tratta, a tutti gli effetti, di una “pedagogia ecologica”, capace di collegare educazione formale, non formale e informale.

    La resilienza post-pandemica

    Durante la pandemia l’Open School si è distinta per la capacità di reinventarsi:

    • con podcast educativi curati da una redazione di bambini (“Comeapprenderemo”),
    • con residenze estive di apprendimento esperienziale,
    • con l’Academy della Comunità Educante, un percorso di formazione rivolto agli insegnanti e agli educatori, per rigenerare le pratiche scolastiche.

    Queste esperienze hanno mostrato come il progetto non sia solo una scuola alternativa, ma un cantiere pedagogico permanente.

    Numeri e organizzazione attuale

    Per l’anno scolastico 2024/25, la scuola conta 23 alunni regolarmente iscritti. Non si tratta di grandi numeri, ma di una scelta deliberata: la dimensione ridotta garantisce la personalizzazione dei percorsi, l’attenzione al bambino e l’implementazione di metodologie attive come il cooperative learning e la didattica laboratoriale.

    Impatto sul territorio e replicabilità

    La Open School del Terzo Paradiso non vuole restare un’esperienza isolata. Il suo obiettivo è contaminare il sistema scolastico pubblico, mostrando come sia possibile innovare attraverso:

    • alleanze educative territoriali,
    • formazione docenti,
    • partnership con istituzioni culturali,
    • coinvolgimento attivo delle famiglie.

    Il progetto appare scalabile e replicabile, configurandosi come un prototipo di scuola del futuro, in linea con le raccomandazioni europee su educazione inclusiva, sostenibilità e cittadinanza attiva (cfr. EU Key Competences for Lifelong Learning, 2018).

    Analisi pedagogica

    Dal punto di vista scientifico, l’Open School intercetta alcune tendenze cruciali dell’educazione contemporanea:

    1. Centralità dell’esperienza (Dewey, Montessori): l’apprendimento nasce dall’esperienza diretta.
    2. Educazione estetica e creativa (Nussbaum, Eisner): l’arte non è solo ornamento, ma motore cognitivo ed etico.
    3. Comunità educante (Bronfenbrenner): il contesto sociale è parte integrante del processo di crescita.
    4. Scuola come ecosistema (Morin): complessità e interconnessione sono la vera grammatica del sapere.

    Conclusione: un laboratorio per la scuola italiana

    L’Open School del Terzo Paradiso è oggi un piccolo ma straordinario esperimento che unisce arte, pedagogia e comunità. Non sostituisce la scuola statale, ma la completa e la sfida a ripensarsi.

    Come pedagogista e psicologo, osservo con interesse come questo modello biellese stia dimostrando che un’altra scuola è possibile: una scuola che educa non solo alla conoscenza, ma alla cittadinanza creativa, ecologica e solidale.

  • Sindrome di Tourette: storia, scoperte e applicazioni didattiche

    Sindrome di Tourette: storia, scoperte e applicazioni didattiche

    Introduzione

    La Sindrome di Tourette è un disturbo neuropsichiatrico che affascina e interroga il mondo scientifico da oltre un secolo. Si manifesta con tic motori e vocali che compaiono nell’infanzia e possono persistere, con andamento variabile, nel corso della vita. Ma chi fu lo scopritore di questa sindrome e come la ricerca ha contribuito a comprenderla?

    Chi fu Gilles de la Tourette

    Il nome della sindrome deriva da Georges Gilles de la Tourette (1857–1904), neurologo francese e allievo di Jean-Martin Charcot alla Salpêtrière di Parigi.

    Nel 1885 pubblicò uno studio pionieristico su 9 pazienti che presentavano tic involontari, ecolalia (ripetizione di parole), coprolalia (uso di termini osceni o socialmente inappropriati) e andamento cronico della sintomatologia.

    Il suo maestro, Charcot, decise di chiamare questo insieme di disturbi “malattia di Gilles de la Tourette” in onore del giovane studioso.

    Precedenti storici

    Già prima del 1885, alcuni casi erano stati documentati. Ad esempio:

    • Jean Itard (1825) descrisse la “Marchesa di Dampierre”, una donna con tic e imprecazioni verbali.
    • Tuttavia, fu Tourette a sistematizzare i sintomi e a definirne una cornice clinica chiara.

    Evoluzione delle conoscenze

    Negli anni successivi, la comprensione della sindrome è cambiata profondamente:

    • Oggi sappiamo che si tratta di un disturbo neurobiologico con forte componente genetica, non di una malattia psichiatrica pura.
    • È spesso associata a Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e altre condizioni del neurosviluppo.
    • Le ricerche di neuroimaging hanno evidenziato alterazioni nei circuiti dopaminergici dei gangli della base.

    Tourette e scuola: sfide e inclusione

    Dal punto di vista didattico, la sindrome può generare incomprensioni e stigmatizzazione. Gli insegnanti possono trovarsi disorientati di fronte a tic improvvisi o espressioni verbali fuori contesto.

    È fondamentale:

    • Sensibilizzare la classe per ridurre lo stigma.
    • Offrire strategie inclusive, come tempi più flessibili per le prove scritte o pause durante le attività.
    • Creare un ambiente accogliente, evitando punizioni per comportamenti involontari.

    Alcuni progetti pilota in Italia e in Europa hanno mostrato come la psicoeducazione rivolta a docenti e compagni riduca significativamente i livelli di isolamento degli studenti con Tourette.

    Conclusione

    La Sindrome di Tourette, da “curiosità clinica” descritta nel XIX secolo, è oggi riconosciuta come un disturbo del neurosviluppo complesso, che richiede interventi mirati non solo sul piano clinico ma anche educativo.

    Ricordare il lavoro pionieristico di Gilles de la Tourette ci aiuta a comprendere quanto la scienza e la scuola debbano camminare insieme per promuovere inclusione e benessere.

  • Disturbo misto, ansia e depressione: sintomi e cure

    Disturbo misto, ansia e depressione: sintomi e cure

    Introduzione

    Il disturbo misto d’ansia e depressione è una delle condizioni psicologiche più diffuse, ma spesso sottovalutate. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fino al 30% dei pazienti che si presentano dal medico di base mostra contemporaneamente sintomi ansiosi e depressivi, senza rientrare in una sola diagnosi specifica. Si tratta quindi di un quadro clinico “ibrido”, ma di forte impatto sulla qualità della vita.

    Cos’è il disturbo misto d’ansia e depressione

    Il termine indica la presenza simultanea di sintomi ansiosi (preoccupazioni, insonnia, irritabilità) e sintomi depressivi (umore depresso, perdita di interesse, stanchezza), senza che uno dei due domini prevalga nettamente.

    In ICD-10 viene riconosciuto come categoria autonoma, mentre nel DSM-5 è considerato una condizione per ulteriori studi. Questo riflette quanto sia clinicamente frequente ma ancora oggetto di dibattito diagnostico.

    Cause e fattori di rischio

    Le cause sono multifattoriali e includono:

    • Predisposizione genetica a disturbi dell’umore o d’ansia.
    • Eventi stressanti cronici (lutti, problemi economici, isolamento sociale).
    • Alterazioni neurobiologiche nei sistemi della serotonina e dopamina.
    • Stile di personalità: perfezionismo, tendenza alla ruminazione, bassa autostima.
    • Comorbilità mediche: dolore cronico, malattie cardiovascolari, disturbi tiroidei.

    Il rischio aumenta in chi ha già una storia familiare di depressione o ansia.

    Sintomi principali

    • Preoccupazioni costanti e difficoltà di concentrazione.
    • Stanchezza persistente, anche dopo il sonno.
    • Insonnia o risvegli frequenti.
    • Perdita di interesse nelle attività quotidiane.
    • Irritabilità e ipersensibilità emotiva.
    • Sensazione di vuoto o disperazione.

    Strategie di prevenzione e intervento

    Interventi psicologici

    • Psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT): efficace nel ridurre ruminazione e pensieri catastrofici.
    • Terapia interpersonale (IPT): indicata per chi presenta conflitti familiari o sociali.
    • Mindfulness e tecniche di rilassamento: utili per ridurre stress e ansia.

    Trattamento farmacologico

    • Antidepressivi SSRI (sertralina, escitalopram) spesso associati a buoni risultati.
    • Ansiolitici: usati solo per periodi brevi, per ridurre i sintomi acuti.

    Stile di vita

    • Attività fisica regolare (anche 30 minuti al giorno).
    • Alimentazione equilibrata ricca di omega-3.
    • Igiene del sonno con orari regolari.
    • Riduzione di alcol e caffeina.

    Centri di eccellenza e linee guida

    In Italia, il Ministero della Salute inserisce ansia e depressione tra le priorità del Piano Nazionale della Salute Mentale.
    A livello europeo, l’European Psychiatric Association (EPA) raccomanda un approccio integrato, che unisca psicoterapia, farmaci e interventi psicoeducativi.

    Molti Centri di Salute Mentale (CSM) regionali offrono programmi specifici per disturbi d’ansia e depressione con presa in carico multidisciplinare.

    Conclusione

    Il disturbo misto d’ansia e depressione non va considerato un “malessere minore”, ma una condizione clinica che richiede attenzione e trattamento mirato. Intercettare precocemente i sintomi significa prevenire una cronicizzazione e migliorare la qualità della vita.

  • Disturbo Non Verbale dell’Apprendimento (NVLD)

    Disturbo Non Verbale dell’Apprendimento (NVLD)

    Quando le parole non bastano

    Il Disturbo Non Verbale dell’Apprendimento (NVLD) è una condizione ancora poco conosciuta, ma di grande rilevanza in ambito scolastico e clinico. Colpisce bambini e adolescenti che, pur avendo buone competenze linguistiche, incontrano notevoli difficoltà in aree non verbali come la percezione visuo-spaziale, la coordinazione motoria e l’interpretazione delle emozioni altrui.

    Che cos’è il NVLD?

    Il NVLD non rientra ancora ufficialmente nei manuali diagnostici come categoria autonoma (nel DSM-5 viene menzionato solo in relazione ad altri disturbi specifici), ma diversi studi scientifici lo descrivono come un quadro peculiare.
    Si caratterizza per:

    • Discrepanza cognitiva: buone capacità verbali vs difficoltà nelle abilità visuo-spaziali.
    • Difficoltà di coordinazione: goffaggine motoria, problemi nella scrittura a mano o nelle attività sportive.
    • Problemi di organizzazione: fatica a orientarsi nello spazio (es. mappe, figure geometriche).
    • Fragilità socio-relazionali: difficoltà a cogliere segnali non verbali, ironia, espressioni facciali.

    A scuola: i segnali da non sottovalutare
    Un alunno con NVLD può:
    eccellere nelle materie umanistiche, mostrando un lessico ricco;
    incontrare ostacoli in matematica, geometria, fisica o in attività pratiche;
    apparire disorganizzato, smarrirsi facilmente nei corridoi o nei grafici;
    vivere incomprensioni con i coetanei, sentendosi isolato o frainteso.
    Un esempio pratico: uno studente di prima media che legge testi complessi con fluidità, ma non riesce a copiare una figura geometrica o a interpretare una tabella.

    Interventi psicoeducativi e strategie didattiche

    Il supporto deve essere mirato e integrato:

    • Psicoeducazione: aiutare il bambino e la famiglia a comprendere le difficoltà.
    • Didattica compensativa: privilegiare spiegazioni verbali chiare e sequenziali.
    • Terapie specifiche: logopedia (per la pragmatica del linguaggio), psicomotricità, training visuo-spaziali.
    • Insegnamento inclusivo: schemi, mappe concettuali verbali, uso di tecnologia assistiva.

    Centri di eccellenza in Italia ed Europa

    Il NVLD, pur essendo meno noto rispetto ai DSA, viene studiato e trattato in vari centri universitari e ospedalieri.

    In Italia:

    • IRCCS Stella Maris (Calambrone, Pisa) – centro di ricerca su neuropsichiatria infantile.
    • Fondazione Don Gnocchi (Milano e Roma) – riabilitazione neuropsicologica, disprassie e disturbi visuo-spaziali.
    • Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (Roma) – valutazioni neuropsicologiche avanzate e programmi di intervento.
    • Policlinico Universitario A. Gemelli (Roma) – centro di ricerca clinica sui disturbi dell’apprendimento.
    • Centro Medea – La Nostra Famiglia (Bosisio Parini, Lecco) – eccellenza nazionale per riabilitazione neuropsicologica infantile.

    In Europa:

    • Great Ormond Street Hospital (Londra) – reparto di neuropsichiatria infantile.
    • Karolinska Institutet (Stoccolma) – programmi di ricerca su neurodivergenze e apprendimento.
    • Université Catholique de Louvain (Belgio) – laboratorio di neuropsicologia dello sviluppo.

    Consigli terapeutici e strategie operative

    🔹 Terapia neuropsicologica personalizzata
    Esercizi computerizzati e giochi strutturati per rafforzare abilità visuo-spaziali e pianificazione.

    🔹 Psicomotricità e fisioterapia mirata
    Per migliorare coordinazione, motricità fine e grafomotricità.

    🔹 Logopedia e pragmatica del linguaggio
    Supporto per interpretare il linguaggio non verbale, l’ironia e le regole conversazionali.

    🔹 Terapia cognitivo-comportamentale (CBT)
    Per ridurre ansia, incrementare autostima e favorire la resilienza sociale.

    🔹 Parent training e supporto alla famiglia
    Aiutare i genitori a strutturare routine visive, favorire autonomia e valorizzare i punti di forza.

    🔹 Didattica inclusiva

    • spiegazioni orali passo-passo;
    • mappe concettuali verbali e schemi lineari;
    • strumenti digitali (audiolezioni, app per l’organizzazione);
    • riduzione dei compiti visuo-spaziali complessi, sostituiti da descrizioni verbali.

    Perché parlarne oggi

    Il NVLD è spesso confuso con l’ADHD, i DSA o lo spettro autistico ad alto funzionamento. Una diagnosi precoce consente invece di intervenire con strategie efficaci, prevenendo frustrazione e drop-out scolastico.

  • Nostalgia: il dolore dolce della memoria

    Nostalgia: il dolore dolce della memoria

    La clinica di un’emozione che attraversa i secoli.

    Che cos’è la nostalgia?

    La nostalgia è un’emozione complessa, un intreccio di dolore e desiderio che accompagna l’essere umano sin dall’antichità. Il termine fu introdotto nel 1688 dal medico alsaziano Johannes Hofer, che la descrisse come una vera e propria malattia dei soldati svizzeri lontani da casa. Deriva dal greco nóstos (ritorno) e álgos (dolore): “dolore per il ritorno”.

    All’epoca era considerata una sindrome clinica caratterizzata da malinconia, insonnia e perdita di appetito. Oggi non compare più nei manuali diagnostici come il DSM-5 o l’ICD-11, ma resta un’esperienza psicologica di grande interesse.

    Evoluzione clinica e storica

    Nel corso dei secoli la nostalgia ha mutato la sua collocazione:

    • XVII-XVIII secolo: malattia dei migranti, degli studenti e dei soldati.
    • XIX secolo: assimilata alla malinconia e ai disturbi depressivi.
    • XX-XXI secolo: considerata emozione universale, non patologica ma ambivalente.

    Come ricorda lo psichiatra americano Clay Routledge, “la nostalgia è un ponte che unisce passato, presente e futuro, dando continuità al senso del Sé”.

    Cosa significa provare nostalgia

    Clinicamente e psicologicamente, la nostalgia comporta:

    • Dolore per l’assenza: la mancanza di luoghi, persone o tempi perduti.
    • Desiderio di ritorno: il sogno di rivivere un contesto ormai passato.
    • Funzione identitaria: il ricordo nostalgico aiuta a sentirsi radicati, rafforza la continuità della propria storia.

    Gli studi di Wildschut e Sedikides (2006) hanno evidenziato che la nostalgia può avere anche un ruolo positivo: favorisce la resilienza, incrementa l’autostima e riduce la solitudine.

    Nostalgia tra dolore e risorsa

    Se nel passato era letta come un limite, oggi la nostalgia viene vista anche come risorsa psicologica. Lungi dall’essere un ostacolo, può trasformarsi in:

    • ancoraggio affettivo, quando le relazioni odierne sono fragili;
    • stimolo creativo, come mostrano letteratura, arte e musica;
    • strumento di resilienza, capace di ridare senso nei momenti di crisi.

    Conclusione

    Provare nostalgia significa dunque sperimentare la dolceamara tensione tra assenza e memoria. È il dolore del tempo che scorre, ma anche la capacità dell’anima di custodire ciò che ci ha reso vivi.

    Come scrive Milan Kundera: “La nostalgia non è il desiderio di ritornare, ma di ritrovare ciò che ha dato senso alla vita.”

  • Ghosting: la scomparsa digitale che lascia cicatrici emotive

    Ghosting: la scomparsa digitale che lascia cicatrici emotive

    Introduzione

    Nel lessico delle relazioni contemporanee il termine ghosting è ormai entrato a pieno titolo. Esso descrive l’interruzione improvvisa e ingiustificata di un rapporto – sentimentale, amicale o professionale – attraverso il silenzio totale. Nel contesto delle relazioni digitali, dove la comunicazione è istantanea e continua, il ghosting diventa una ferita invisibile che colpisce la psiche in profondità.

    Il ghosting come trauma relazionale

    Il ghosting non è soltanto un atto di sottrazione comunicativa: rappresenta un trauma relazionale. La persona che lo subisce sperimenta un dolore simile all’abbandono improvviso, con vissuti di rifiuto e svalutazione. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Social and Personal Relationships (2021), il 65% degli adulti under 30 ha sperimentato almeno una volta il ghosting in relazioni affettive. L’effetto psicologico più frequente è la riduzione dell’autostima, accompagnata da ansia anticipatoria nei successivi legami.

    Dinamiche psicologiche

    Per chi pratica il ghosting, il silenzio non è sempre segno di indifferenza: spesso nasconde incapacità di sostenere il conflitto, difficoltà a gestire la colpa o tratti di evitamento tipici di personalità insicure. Per chi lo subisce, invece, il non detto alimenta la ruminazione mentale e la ricerca ossessiva di spiegazioni. Questo circolo vizioso genera sofferenza, come confermato da ricerche condotte dall’American Psychological Association (2022), che evidenziano come l’ambiguità dell’abbandono digitale provochi attivazioni cerebrali simili a quelle del dolore fisico.

    Ghosting e psicologia digitale

    Nella psicologia digitale il ghosting viene interpretato come una forma di “comunicazione zero” che sfrutta le potenzialità tecnologiche per evitare la responsabilità emotiva. In un mondo dove il “visualizzato” equivale a una risposta, l’assenza diventa una dichiarazione crudele. Non a caso il fenomeno è particolarmente diffuso tra adolescenti e giovani adulti, categorie più vulnerabili alla pressione relazionale dei social.

    Come affrontarlo

    Affrontare il ghosting significa rielaborare il senso di perdita, accettando che la mancanza di spiegazioni non dipende da un proprio difetto intrinseco.

    • Psicoeducazione: comprendere le dinamiche relazionali per ridurre il senso di colpa.
    • Sostegno psicologico: favorire percorsi di rielaborazione emotiva per spezzare il circolo della ruminazione.
    • Resilienza digitale: imparare a costruire confini e strategie di autoregolazione nelle relazioni online.

    Conclusione

    Il ghosting, seppur “silenzioso”, rappresenta una forma di violenza relazionale sottile, che richiede consapevolezza e strumenti psicologici per essere superata. Le cicatrici invisibili che lascia insegnano che il silenzio non sempre è neutro: può essere il segno più tagliente del nostro tempo digitale.

  • Il chewing gum: tra ribellione, psicologia e cultura pop

    Il chewing gum: tra ribellione, psicologia e cultura pop

    Il chewing gum non è soltanto un passatempo zuccherato: è un oggetto culturale, uno strumento psicologico, un piccolo atto quotidiano che attraversa secoli e simboli. La sua storia, infatti, affonda le radici nelle antiche civiltà, ma assume un significato del tutto nuovo nel Novecento, fino a diventare emblema di gioventù ribelle, consumismo e talvolta di maleducazione.

    Origini storiche: dalle resine naturali all’industria

    Masticare resine vegetali è un’usanza antichissima: i Maya utilizzavano la chicle, derivata dall’albero della sapotiglia, mentre in Grecia si masticava la resina di lentisco. Tuttavia, il vero salto commerciale si ebbe nell’Ottocento negli Stati Uniti, con l’introduzione del chewing gum industriale, inizialmente venduto come rimedio digestivo.

    Negli anni ’50 e ’60, con l’avvento della cultura pop americana, la gomma da masticare si trasformò in un simbolo di gioventù, ribellione e modernità, complici il cinema e la pubblicità. Pensiamo a James Dean o ai ragazzi dei musical: il gesto del masticare divenne un segno identitario.

    Risvolti psicologici: tra ansia e auto-regolazione

    Dal punto di vista psicologico, masticare gomma può essere interpretato come una forma di auto-consolazione. Studi recenti hanno evidenziato che il chewing gum può:

    • ridurre temporaneamente lo stress e l’ansia (Smith, 2010);
    • migliorare la concentrazione e la memoria a breve termine (Allen & Smith, 2012);
    • favorire un senso di rilassamento, grazie alla ripetitività del gesto.

    La gomma da masticare, insomma, agisce come una sorta di “tic funzionale”: un piccolo rito quotidiano che permette di scaricare tensioni in maniera socialmente accettabile, anche se non sempre ben vista.

    Ribellione e cultura pop

    Negli anni della contestazione giovanile, masticare una gomma con aria svogliata divenne un modo di esprimere sfida all’autorità. Il chewing gum fu percepito dagli adulti come un segno di maleducazione: simbolo di indisciplina a scuola, di irriverenza verso i valori tradizionali.

    Ancora oggi, insegnanti e genitori associano il gesto al disimpegno, mentre per gli adolescenti può rappresentare un segnale di appartenenza a un gruppo, un modo di marcare differenza. È il linguaggio silenzioso della ribellione quotidiana.

    Educazione o maleducazione?

    La gomma da masticare resta ambigua: da un lato strumento di concentrazione e sollievo dallo stress, dall’altro segno di trasgressione sottile e mancanza di rispetto nei contesti formali (scuola, chiesa, lavoro).

    L’educazione non consiste nel proibire in assoluto, ma nell’insegnare quando e dove masticare: un atto che può essere neutro, oppure disturbante e maleducato. La differenza la fa il contesto.

    Conclusione: un piccolo oggetto, una grande metafora

    Il chewing gum è più di un dolce: è un fenomeno psicologico e culturale che continua a oscillare tra necessità, piacere e ribellione. Da simbolo pop a strumento di autoregolazione, resta una metafora dei nostri tempi: sempre in bilico tra libertà individuale e regole sociali.

  • Diario di un curato di campagna.

    Diario di un curato di campagna.

    La grazia che abita la fragilità

    In un mondo che idolatra la forza e il successo, Georges Bernanos ci consegna un romanzo che è un inno alla debolezza come luogo in cui la Grazia si rivela. Diario di un curato di campagna (1936) non è soltanto la storia di un giovane prete malato e incompreso, ma un pellegrinaggio interiore che tocca le corde più profonde della psiche e dello spirito.

    Il protagonista, fragile nel corpo e incerto nel ministero, sembra soccombere di fronte alle ostilità della sua comunità e all’opacità del proprio cuore. Eppure, proprio in questo crepuscolo interiore, si apre una luce che non abbaglia, ma consola: la Grazia di Dio che si insinua nelle crepe dell’umano. La sua ultima confessione, “Tutto è grazia”, non è resa, ma suprema vittoria.

    Perché leggerlo oggi

    • È un testo di psicologia esistenziale: il diario diventa specchio delle nostre inquietudini, dei sensi di colpa e della ricerca di autenticità.
    • È una lezione pedagogica: mostra come la vera educazione e cura delle anime non sia predicazione trionfale, ma accompagnamento discreto, spesso silenzioso.
    • È un romanzo terapeutico: la sofferenza del curato parla a chi vive depressioni, solitudini, e li trasforma in luoghi di significato.

    Bernanos non ci offre un eroe, ma un uomo ferito che diventa testimone di una verità universale: la fragilità non è ostacolo, ma via verso l’Assoluto.