Categoria: Psicologia

  • Sovraccarico cognitivo e rendimento scolastico

    Sovraccarico cognitivo e rendimento scolastico

    Il sovraccarico cognitivo rappresenta una sfida significativa nell’era dell’informazione, influenzando vari ambiti della società, inclusa l’istruzione. La teoria del carico cognitivo, sviluppata da John Sweller negli anni ’80, sottolinea l’importanza di strutturare l’apprendimento in modo da rispettare i limiti della memoria di lavoro umana. Un eccesso di informazioni può compromettere la capacità degli studenti di elaborare e memorizzare efficacemente i contenuti, portando a frustrazione e riduzione delle performance accademiche.

    In Italia, l’uso precoce e intensivo di dispositivi digitali tra i giovani è in aumento. Secondo un rapporto di Save the Children, il 43% dei bambini tra i 6 e i 10 anni nel Sud e nelle Isole utilizza uno smartphone quotidianamente. Questa esposizione prolungata può contribuire al sovraccarico cognitivo, interferendo con la capacità di concentrazione e apprendimento. Uno studio condotto dall’Università Milano-Bicocca e SUPSI ha evidenziato una correlazione negativa tra l’uso intensivo dei media digitali e il rendimento scolastico, suggerendo che l’eccesso di stimoli digitali possa compromettere le performance educative

    La scuola italiana si trova quindi ad affrontare la sfida di integrare le tecnologie digitali nell’educazione senza sovraccaricare gli studenti. Nonostante l’adozione di strumenti digitali possa arricchire l’esperienza didattica, è fondamentale bilanciare l’uso della tecnologia con metodi tradizionali di insegnamento. Un approccio equilibrato potrebbe includere la promozione della metacognizione, ovvero la capacità degli studenti di riflettere sul proprio processo di apprendimento, e l’implementazione di pause regolari durante le attività didattiche per prevenire l’affaticamento mentale. Statistiche recenti indicano che il 36% dei lavoratori italiani fatica a disconnettersi dal lavoro a causa del sovraccarico cognitivo, una problematica che si riflette anche nel contesto educativo. La pandemia ha accentuato questo fenomeno, con un aumento significativo del tempo trascorso online sia per motivi professionali che personali. 

    In conclusione, è essenziale che il sistema educativo italiano riconosca e affronti il problema del sovraccarico cognitivo. Ciò implica una progettazione didattica che tenga conto dei limiti cognitivi degli studenti, l’adozione di strategie di insegnamento che promuovano un apprendimento profondo e significativo, e una riflessione critica sull’uso delle tecnologie digitali in aula. Solo attraverso un approccio consapevole e informato sarà possibile garantire un’educazione efficace e sostenibile per le future generazioni.

  • San Valentino: il patrono degli innamorati

    San Valentino: il patrono degli innamorati

    L’origine della festa di San Valentino si perde in un intreccio di riti antichi e tradizioni che hanno segnato la storia dell’umanità, rivelando un percorso che unisce il fervore delle celebrazioni pagane e la profondità del simbolismo cristiano. Nella Roma antica, la Lupercalia veniva celebrata con una ritualità quasi mistica, un rito di purificazione e fertilità che apriva le porte alla rinascita della natura e al rinnovamento dell’anima. I Lupercàli (Lupercalia in latino) erano un’antica festività romana, celebrata nei giorni nefasti di febbraio, mese tradizionalmente dedicato alla purificazione. Il rito si svolgeva dal 13 al 15 febbraio in onore del dio Fauno.

    Secondo un’altra interpretazione, avanzata dallo storico Dionigi di Alicarnasso, i Lupercalia commemoravano il leggendario allattamento dei gemelli Romolo e Remo da parte di una lupa che aveva appena partorito. Un resoconto dettagliato di questa festività si trova nelle Vite parallele di Plutarco. Le celebrazioni si svolgevano nella grotta chiamata Lupercale, situata sul Palatino, dove, secondo la tradizione, Romolo e Remo sarebbero stati allevati dalla lupa prima di fondare Roma.

    Con l’avvento del Cristianesimo, le celebrazioni pagane vennero reinterpretate, e la figura di un martire coraggioso, che osò infrangere le rigide imposizioni dell’autorità imperiale celebrando unioni segrete, divenne il simbolo di un amore redentore e rivoluzionario. San Valentino è venerato dalla Chiesa Cattolica come martire cristiano, ed è considerato il patrono degli innamorati. Tuttavia, la sua figura storica è avvolta nel mistero e spesso confusa con altre omonime.

    Secondo la Passio Sancti Valentini, Valentino sarebbe stato un vescovo di Terni vissuto nel III secolo d.C., durante il regno dell’imperatore Claudio II il Gotico. La tradizione narra che fosse noto per il suo impegno nel celebrare matrimoni tra cristiani, nonostante le persecuzioni dell’epoca. Avrebbe anche benedetto le unioni tra giovani coppie, andando contro il decreto imperiale che proibiva i matrimoni per i soldati, considerati più valorosi se non sposati.

    Per la sua opera di evangelizzazione e per aver sfidato le autorità romane, Valentino venne arrestato e condannato a morte. Secondo la leggenda, prima della sua esecuzione avrebbe guarito la figlia cieca di un suo carceriere e le avrebbe scritto un biglietto firmato “Tuo Valentino”, da cui deriverebbe l’usanza degli auguri d’amore nel giorno della sua festa.

    San Valentino fu decapitato il 14 febbraio 273 d.C. e sepolto lungo la Via Flaminia. Il culto si diffuse rapidamente e nel 496 d.C. papa Gelasio I istituì ufficialmente la sua festa per sostituire i Lupercalia.

    Le sue reliquie sono conservate in diverse città italiane, tra cui Terni, dove è patrono, e Roma, nella Basilica di San Valentino. Il 14 febbraio è celebrato come il giorno degli innamorati, una tradizione che ha radici sia nella religione cristiana che nelle consuetudini medievali legate all’amore cortese.

    Studi interdisciplinari che spaziano dall’antropologia alle neuroscienze hanno dimostrato come l’amore sia radicato in meccanismi cerebrali ben definiti, capaci di innescare la produzione di neurotrasmettitori e ormoni che regolano il benessere emotivo e fisico. Questa sintesi tra tradizione e scienza conferisce alla festa di San Valentino una valenza profonda e ambivalente, in cui il sentimento si trasforma da ideale romantico a fenomeno misurabile, capace di resistere al tempo e alle convenzioni sociali. In un’epoca segnata dall’individualismo e dalla frenesia, il ricordo delle origini di questa celebrazione funge da monito: l’amore, nella sua essenza più pura, è una forza che illumina anche gli angoli più oscuri dell’esistenza, sfidando le tempeste del destino e offrendo una via di speranza e redenzione.

    San Valentino incarna il connubio tra spiritualità e sentimento, tra la tradizione cristiana e il significato universale dell’amore. Il suo culto, nato in un’epoca di persecuzioni e sacrificio, si è trasformato nei secoli in un simbolo di unione e affetto, mantenendo vivo il messaggio di altruismo e dedizione.

    Che si tratti di un amore romantico, familiare o universale, la sua figura ci ricorda che l’amore autentico è dono, impegno e speranza. Il 14 febbraio non è solo una celebrazione consumistica, ma un’occasione per riscoprire il valore profondo del legame con gli altri, costruito su fiducia, rispetto e sincera connessione dell’anima.

    Nel mondo frenetico di oggi, dove spesso i sentimenti vengono sminuiti o dati per scontati, questa ricorrenza ci invita a riflettere sull’importanza di amare con autenticità, senza paura e senza riserve. Perché, come scriveva Dante, “Amor che move il sole e l’altre stelle”, è la forza più grande e inesauribile dell’universo.

  • Pornodipendenza: strategie e consigli per superare la dipendenza

    Pornodipendenza: strategie e consigli per superare la dipendenza

    Il consumo di materiale pornografico può trasformarsi in un comportamento compulsivo, portando a una progressiva perdita di controllo e a conseguenze negative sulla sfera personale, affettiva e lavorativa. L’uso ossessivo di pornografia, spesso accompagnato da un aumento della tolleranza e da una continua ricerca di stimoli sempre più intensi, può generare insoddisfazione e senso di colpa, creando un circolo vizioso dal quale risulta difficile uscire.

    Molti individui affetti da questa problematica riferiscono di dedicare diverse ore al giorno alla visione di contenuti espliciti, sacrificando tempo che potrebbe essere destinato ad altre attività. La dipendenza può portare a difficoltà nelle relazioni interpersonali, calo delle prestazioni lavorative e sintomi di astinenza nel momento in cui si tenta di interrompere il comportamento. Spesso, il riconoscimento del problema avviene solo quando le circostanze esterne – come una convivenza o una maggiore esposizione alla vita sociale – impediscono di soddisfare il bisogno compulsivo in modo indisturbato.

    Gli studi condotti nell’ambito della psicoterapia e delle neuroscienze applicate suggeriscono che una percentuale compresa tra il 3% e il 5% degli uomini soffra di una forma di dipendenza dalla pornografia. Anche le donne possono esserne colpite, sebbene in misura minore, con una prevalenza stimata attorno all’1%. Le differenze di genere sono attribuibili a un minor consumo di contenuti pornografici da parte del pubblico femminile, come dimostrano diverse indagini statistiche. Tuttavia, il fenomeno è spesso sottostimato: il senso di vergogna associato a questa problematica induce molte persone a non cercare aiuto, rendendo difficile una quantificazione precisa del disturbo.

    Fino a pochi anni fa, la dipendenza da pornografia non era ufficialmente riconosciuta come una condizione clinica. Solo con l’introduzione dell’ICD-11 nel 2022, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato questo disturbo all’interno della categoria più ampia dei “disturbi da comportamento sessuale compulsivo“, includendolo accanto alla dipendenza da sesso, al cybersex e ad altre forme di compulsione legate alla sessualità. Questo riconoscimento ha suscitato un acceso dibattito nella comunità scientifica: alcuni esperti temevano che la definizione potesse portare a una patologizzazione eccessiva di un comportamento considerato normale, mentre altri sottolineavano la necessità di identificare un quadro clinico chiaro per coloro che soffrono di questa condizione.

    La maggior parte delle persone che consuma pornografia non sviluppa una dipendenza. Tuttavia, quando il consumo diventa pervasivo e interferisce con la vita quotidiana, si può parlare di un vero e proprio disturbo comportamentale. I criteri diagnostici includono la perdita di controllo, l’incapacità di ridurre o interrompere il consumo nonostante le conseguenze negative, e l’aumento progressivo della quantità e dell’intensità del materiale visionato. In alcuni casi, questa escalation può condurre all’esposizione a contenuti sempre più estremi, fino alla pornografia violenta.

    Le opinioni degli studiosi sulla classificazione di questo disturbo sono divergenti. Alcuni lo collocano tra i disturbi del controllo degli impulsi, insieme a condizioni come la cleptomania e la piromania. Altri ritengono che la dipendenza da pornografia abbia più affinità con le dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo patologico e la dipendenza da videogiochi. Tra i sintomi più frequenti si riscontrano pensieri ossessivi sul materiale pornografico, astinenza caratterizzata da irrequietezza e disagio psicologico, e tentativi ripetuti ma infruttuosi di interrompere l’abitudine.

    Il consumo eccessivo di pornografia può avere ripercussioni anche sul piano fisico. Uno studio condotto dall’Università di Anversa nel 2021 ha evidenziato una possibile correlazione tra l’uso smodato di pornografia e problemi di disfunzione erettile nei giovani uomini sotto i 35 anni. Tuttavia, la relazione causale non è ancora stata chiarita: se da un lato si ipotizza che l’abuso di materiale pornografico possa influenzare negativamente la risposta sessuale nella realtà, dall’altro è possibile che soggetti già affetti da problemi sessuali ricorrano al porno come forma di compensazione.

    La dipendenza da pornografia segue un meccanismo simile a quello di altre dipendenze: la necessità di stimoli sempre più forti porta a un aumento del consumo, con una progressiva assuefazione e una ridotta capacità di provare piacere. Il fenomeno è paragonabile all’alcolismo, dove si passa da un consumo moderato a dosi sempre più elevate per ottenere lo stesso effetto. La crescente sensibilizzazione su questa problematica ha reso possibile lo sviluppo di percorsi terapeutici mirati, basati su approcci cognitivo-comportamentali, supporto psicologico e, nei casi più gravi, interventi farmacologici volti a modulare gli impulsi compulsivi.

    Affrontare la dipendenza dalla pornografia richiede una presa di coscienza e un supporto adeguato. La ricerca continua a esplorare strategie di trattamento efficaci, con l’obiettivo di fornire strumenti utili a chi si trova intrappolato in un ciclo compulsivo difficile da spezzare.

  • Narcisismo: il dilemma dell’ego e le sue radici psicologiche

    Narcisismo: il dilemma dell’ego e le sue radici psicologiche

    Cause e prevenzione del narcisismo

    Il narcisismo è un fenomeno complesso che si manifesta principalmente attraverso due forme: il narcisismo grandioso, contraddistinto da un senso di superiorità, e il narcisismo vulnerabile, caratterizzato da vergogna e ipersensibilità. Entrambe queste manifestazioni condividono una base comune: un’instabilità del senso di sé e un bisogno costante di validazione da parte degli altri. Secondo esperti come Frans Schalkwijk, questo comportamento può avere origine nell’infanzia, quando un bambino non riceve attenzione e comprensione sufficienti.

    Questa mancanza può portare a un modello di attaccamento insicuro, spingendo il bambino a sviluppare tratti di grandezza per compensare un vuoto emotivo oppure a ritirarsi dalle relazioni sociali. Il narcisista, nella vita adulta, tende a oscillare tra momenti di estrema sicurezza e profonde insicurezze, alimentando un circolo vizioso fatto di solitudine e dubbi. Psicologi come Eddie Brummelman e Martin Appelo spiegano che questa dinamica si traduce in un costante bisogno di ammirazione esterna e difficoltà a mantenere relazioni stabili.

    Nonostante l’opinione comune, non tutti i narcisisti soffrono di bassa autostima; il problema principale risiede nel loro senso di superiorità e nella continua ricerca di conferme da parte degli altri. Studi psicologici evidenziano che il narcisismo non è una semplice espressione di ego gonfiato, ma un meccanismo complesso, radicato nelle prime esperienze di vita e influenzato dalle dinamiche sociali.

    Per spiegare lo sviluppo di tratti narcisistici nei bambini, sono state formulate due teorie principali. La prima, di matrice psicoanalitica, attribuisce il fenomeno alla mancanza di calore genitoriale. La seconda, nota come teoria dell’apprendimento sociale, sostiene che il narcisismo possa derivare da comportamenti egocentrici incentivati dai genitori stessi.

    Comprendere queste dinamiche è essenziale per creare interventi terapeutici efficaci e per aiutare chi soffre di tratti narcisistici a migliorare le proprie relazioni e il proprio benessere emotivo.

    Come Prevenire il Narcisismo nei Bambini

    Prevenire tendenze narcisistiche nei bambini richiede un approccio educativo equilibrato, basato sull’attenzione incondizionata e su modelli di comportamento sani. Dimostrare amore e affetto senza condizioni, indipendentemente dai risultati ottenuti, è fondamentale per sviluppare una personalità equilibrata. È altrettanto importante evitare elogi eccessivi, lodando invece l’impegno e non solo i successi.

    Insegnare l’empatia è cruciale per aiutare il bambino a comprendere i bisogni degli altri e a sviluppare relazioni basate sul rispetto reciproco. Allo stesso tempo, stabilire limiti chiari e coerenti permette al bambino di apprendere il valore del rispetto per sé e per gli altri. I genitori dovrebbero evitare di confrontare il bambino con i coetanei, per prevenire sentimenti di inferiorità o superiorità, e insegnare l’importanza di accettare i fallimenti come opportunità di crescita.

    Incoraggiare il bambino a essere autentico, senza la necessità di impressionare gli altri, rafforza la fiducia in sé stesso. Modelli di comportamento che promuovono l’umiltà e l’autenticità possono essere di grande aiuto, così come offrire opportunità per socializzare e collaborare con gli altri. Prevenire il narcisismo non significa eliminare l’autostima, ma piuttosto promuovere un senso di sé che non dipenda esclusivamente dalla validazione esterna.

    Promuovere una genitorialità consapevole, basata sull’equilibrio tra affetto, regole chiare e incoraggiamento all’empatia, rappresenta una strategia efficace per favorire lo sviluppo emotivo dei bambini e prevenire tendenze narcisistiche.

  • Muscoli scolpiti e doping: una sfida per la salute dei giovani

    Muscoli scolpiti e doping: una sfida per la salute dei giovani

    Il mito del corpo perfetto domina il panorama sociale e mediatico. Immagini di fisici scolpiti come montagne russe, addominali d’acciaio e muscoli esaltati fino all’estremo si intrecciano con un fenomeno preoccupante: il doping. Questo problema in crescita, spesso ignorato o sottovalutato, riguarda giovani e adulti, dilettanti e professionisti. Secondo recenti stime, il mercato globale delle sostanze dopanti supera i 500 milioni di euro all’anno (Fonte: WADA, 2023), alimentato da ormoni, integratori e farmaci. Gli steroidi anabolizzanti rappresentano il prodotto più richiesto, perché rappresenta la via breve per ottenere rapidi aumenti di massa muscolare. Queste sostanze arrivano principalmente dal mercato asiatico, distribuite tramite dark web, social media e forum. Una ricerca condotta dall’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) evidenzia che almeno un bodybuilder su tre utilizza regolarmente sostanze illecite (WADA, Rapporto Annuale 2022). Tuttavia, il doping non è limitato al body-building: anche in sport come golf, tiro con l’arco o tiro a segno, si fa uso di betabloccanti e ansiolitici per ridurre l’ansia da prestazione.

    Tra i giovani, il mito del corpo perfetto è fortemente alimentato dai social media e dagli standard estetici imposti dalla cultura contemporanea. Uno studio pubblicato su “Journal of Adolescent Health” (Smith et al., 2021) ha rivelato che il 20% degli adolescenti ritiene necessario fare uso di doping per raggiungere il successo sportivo. Molti ragazzi assumono queste sostanze senza consapevolezza dei rischi. Tra i più comuni troviamo gli steroidi anabolizzanti che causano squilibri ormonali, infertilità e danni epatici (National Institute on Drug Abuse, 2023), gli ormoni della crescita (GH), legati a diabete e problemi cardiaci, e gli sciroppi energizzanti con estratti di ipofisi bovina, potenzialmente responsabili di malattie neurologiche come la variante umana della mucca pazza (European Food Safety Authority, 2022).

    Il termine “doping” deriva probabilmente dall’antico uso del “Dop”, un estratto eccitante utilizzato nelle cerimonie religiose da popolazioni dell’Africa sud-orientale. Tuttavia, l’uso di sostanze per migliorare le prestazioni risale a tempi ancora più antichi: nelle prime Olimpiadi, alcuni atleti usavano pozioni per aumentare la resistenza (Goldstein, “Doping in Antiquity”, 2020). Oggi, però, la situazione è radicalmente cambiata. In una palestra su sei (Ministero della Salute, 2023), circolano sostanze dopanti, e l’accesso a questi prodotti è più facile che mai, soprattutto grazie alla rete.

    Il doping non si limita a migliorare la massa muscolare o la forza. In molti sport si utilizzano anche diuretici, per perdere peso rapidamente o mascherare altre sostanze nelle analisi (WADA, 2022), alcalinizzanti (come bicarbonato di sodio), per aumentare la resistenza all’acido lattico, ma con effetti collaterali come problemi intestinali, e betabloccanti, per ridurre i tremori e l’ansia, comuni in sport di precisione. Queste pratiche mettono a rischio non solo la salute fisica, ma anche quella mentale, favorendo lo sviluppo di ossessioni compulsive legate alla ricerca di perfezione (APA, 2023).

    La soluzione non è demonizzare lo sport, ma educare a una pratica sana e consapevole. Genitori, educatori e allenatori devono promuovere valori come etica, responsabilità e benessere psico-fisico, opponendosi al culto dell’apparenza a tutti i costi. I giovani devono comprendere che il successo non è solo il risultato estetico o sportivo, ma anche il rispetto per la propria salute e per gli altri. Campagne informative, promosse da scuole e associazioni sportive, possono fare la differenza. Programmi come “Youth Against Doping” (Erasmus+, 2023) offrono risorse utili per sensibilizzare giovani e genitori sui pericoli delle sostanze illecite.

    Il doping rappresenta una sfida complessa che richiede una risposta collettiva. Educare sui rischi, fornire supporto psicologico e creare un ambiente sportivo positivo sono passi essenziali per proteggere le nuove generazioni.

  • L’innamoramento: scienza, psicologia e mistero di un sentimento universale

    L’innamoramento: scienza, psicologia e mistero di un sentimento universale

    L’innamoramento è un fenomeno complesso che si manifesta spesso in modo inaspettato, come un evento improvviso e travolgente. A livello culturale, l’amore romantico è una costruzione prevalentemente occidentale, radicata nella mitologia greca e sviluppatasi nel Romanticismo dell’Ottocento. In altre culture, come quella indiana o cinese, l’amore viene concepito diversamente: come un sentimento che si costruisce nel tempo attraverso affetto e interessi condivisi, oppure come mezzo di trascendenza spirituale, come nel Tantrismo.  

    Dal punto di vista biochimico, l’innamoramento è un processo che coinvolge rapidamente il cervello: bastano pochi istanti per innescare una complessa attività neurologica. Studi dimostrano che entro 20 centesimi di secondo dall’incontro con una persona attraente, il cervello attiva specifiche aree che rilasciano neurotrasmettitori come dopamina, noradrenalina e feniletilamina, responsabili di euforia, eccitazione e benessere. Successivamente, entrano in gioco ormoni come l’ossitocina e la vasopressina, che favoriscono il legame emotivo e la stabilità della relazione.  

    Anche i feromoni, messaggeri chimici mediati dall’olfatto, giocano un ruolo nella scelta del partner, agendo a livello inconscio e influenzando le preferenze basate sulla compatibilità genetica. Il bacio, comportamento universale e complesso, amplifica questi segnali biochimici e contribuisce all’eccitazione e al rafforzamento del legame.  

    La psicologia interpreta l’innamoramento in molteplici modi. Freud lo descrive come un meccanismo inconscio legato al bisogno di sicurezza e riproduzione, mentre Jung lo considera una forma di trascendenza, capace di far evolvere l’individuo a un livello superiore. Altre teorie, come quelle di Wilhelm Reich, attribuiscono all’amore e all’intimità un ruolo liberatorio, capace di rilasciare energia psichica e connettere l’individuo con il cosmo.  

    Alcuni approcci spirituali ed esoterici vedono l’innamoramento come il risultato di una connessione predestinata tra le anime. Secondo queste prospettive, gli incontri significativi non sarebbero casuali, ma frutto di un disegno evolutivo in cui ogni relazione offre opportunità di crescita personale.  

    L’energia sessuale, parte integrante dell’innamoramento, è descritta come una forza creativa primaria, capace di favorire lo sviluppo personale e il benessere psico-fisico. Tuttavia, è importante considerare questa energia come uno strumento per esplorare sé stessi, piuttosto che cercare una perfezione esterna idealizzata nell’altro.  

    In conclusione, l’innamoramento è un fenomeno multidimensionale, che intreccia aspetti biologici, psicologici, culturali e spirituali. Comprendere queste dinamiche può aiutare a vivere le relazioni in modo più consapevole, valorizzando ogni incontro come un’opportunità di connessione e crescita.

  • Dipendenza da internet: impatti psicologici e come superarla

    Dipendenza da internet: impatti psicologici e come superarla

    La dipendenza da Internet, tecnicamente definita Internet Addiction Disorder (IAD) o Disturbo da Dipendenza da Internet, rappresenta un fenomeno in continua espansione, soprattutto tra gli adolescenti. Si tratta di una dipendenza comportamentale caratterizzata da un utilizzo eccessivo, incontrollato e compulsivo della rete, con conseguenze negative sulla vita personale, sociale, scolastica e lavorativa. Sebbene non sia ancora ufficialmente riconosciuta come disturbo a sé stante nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), la IAD è oggetto di numerosi studi scientifici, che ne evidenziano l’impatto crescente nella società digitale. Altri termini utilizzati in ambito scientifico per descrivere questa problematica includono Problematic Internet Use (PIU), Compulsive Internet Use (CIU) e, per specifici casi legati ai videogiochi, Gaming Disorder, quest’ultimo già riconosciuto come patologia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella classificazione ICD-11. 

    Negli adolescenti, il fenomeno della dipendenza da Internet si sta diffondendo con caratteristiche quasi epidemiche. Secondo Federico Tonioni, responsabile del primo ambulatorio italiano dedicato a questo disturbo presso il Policlinico Gemelli di Roma, molti giovani sviluppano un rapporto malsano con il web, soprattutto attraverso un uso compulsivo di social network come Facebook, Instagram, TikTok e chat. Questo tipo di comportamento, definito anche “binge digitale“, è caratterizzato da sessioni di connessione prolungate e incontrollate che riducono la capacità di interazione reale. Il web tende a privilegiare relazioni duali e virtuali, che spesso sostituiscono il dialogo diretto e l’incontro personale, con conseguenti difficoltà nello sviluppo di relazioni autentiche e nel rafforzamento dell’identità personale.  

    Dal punto di vista clinico, i sintomi della dipendenza da Internet sono simili a quelli di altre dipendenze comportamentali. I soggetti colpiti possono manifestare craving (desiderio incontrollabile di connettersi), irritabilità e disagio quando non hanno accesso alla rete, oltre a impulsività e compromissione delle capacità cognitive. Questo disturbo è spesso associato ad altri problemi psichiatrici, tra cui depressione, ansia sociale, disturbi di rabbia e dipendenza da sostanze. Studi neuroscientifici, come quelli pubblicati sull’American Journal of Psychiatry, hanno dimostrato che l’abuso della rete altera il sistema di ricompensa del cervello, favorendo una ricerca continua di gratificazione immediata, tipica delle interazioni virtuali come i “like” e i commenti sui social media.  

    In adolescenza, la situazione si complica ulteriormente a causa della delicata fase di sviluppo identitario. L’immersione nel mondo virtuale, descritta dal filosofo Jean Baudrillard come un’esperienza in cui “ci si tuffa” senza confrontarsi con la realtà, può confondere i giovani su chi sono realmente e su chi vogliono diventare. La sperimentazione di identità virtuali in questa fase della vita può aumentare il rischio di alienazione sociale e ostacolare la costruzione di un progetto personale radicato nella realtà.  

    La prima ricerca sistematica sul fenomeno, condotta dalla dottoressa Kimberly Young nel 1996, ha evidenziato come l’abuso della rete possa provocare isolamento sociale e una significativa riduzione della qualità della vita. Da allora, la comunità scientifica ha approfondito lo studio della IAD e delle sue varianti, proponendo trattamenti basati su approcci multidisciplinari che coinvolgono psicologi, psichiatri e pedagogisti. Interventi educativi e terapeutici mirano ad aiutare i giovani a sviluppare un uso consapevole e moderato della rete, promuovendo al contempo il recupero delle relazioni reali e il rafforzamento dell’autostima.  

    In conclusione, la dipendenza da Internet rappresenta una delle maggiori sfide per la società contemporanea. Il riconoscimento della sua natura tecnica e scientifica è essenziale per sviluppare strategie preventive e terapeutiche efficaci. Solo attraverso un approccio integrato sarà possibile aiutare le nuove generazioni a trovare un equilibrio tra la dimensione virtuale e quella reale, riducendo il rischio di alienazione e promuovendo una crescita personale sostenibile e autentica.

  • “Siblings e neurodiversità: la sfida invisibile e il cammino verso la resilienza familiare”

    “Siblings e neurodiversità: la sfida invisibile e il cammino verso la resilienza familiare”

    La sofferenza familiare che deriva dalla gestione di un figlio neurodiverso rappresenta un’esperienza complessa che mette a dura prova la capacità di resilienza delle famiglie. Sul piano emotivo, questo dolore si configura come un’esperienza totalizzante, che modifica radicalmente le dinamiche relazionali e impone un riadattamento costante. La neurodiversità, termine introdotto da Thomas Armstrong per descrivere la diversità neurologica come elemento naturale della condizione umana, viene oggi interpretata non come un deficit, ma come un’opportunità per comprendere la varietà e la complessità del cervello umano. Tuttavia, l’ecosistema familiare spesso si trova in una situazione di stress cronico che coinvolge tutti i suoi membri, inclusi i fratelli e le sorelle dei bambini con disabilità, noti come siblings

    I siblings, come dimostrato da numerosi studi, tra cui quelli condotti da Meyer e Vadasy (2008), sperimentano un doppio carico emotivo: da un lato devono far fronte al senso di abbandono derivante dall’attenzione dei genitori focalizzata sul fratello con disabilità, dall’altro affrontano un’eccessiva responsabilizzazione che accelera il loro sviluppo psicologico in direzione di un’adultizzazione precoce. La letteratura psicologica evidenzia come tali dinamiche possano portare a sentimenti di gelosia, rabbia e tristezza, che, se non riconosciuti e gestiti, possono evolvere in ansia, depressione e difficoltà di adattamento sociale. Studi di Fisman e Wolf (1991) hanno evidenziato che i siblings di bambini con autismo o altre forme di disabilità tendono a sviluppare livelli elevati di empatia, ma anche un rischio maggiore di disagio emotivo rispetto ai coetanei. 

    Dal punto di vista neurobiologico, il continuo stato di stress può influenzare lo sviluppo delle aree cerebrali legate alla regolazione emotiva, come evidenziato dalle ricerche di Gunnar e Quevedo (2007), che sottolineano il ruolo dell’ambiente familiare nella modulazione della risposta allo stress. Per questo motivo, è fondamentale adottare un approccio sistemico che includa l’intera famiglia, promuovendo interventi psicoeducativi mirati non solo al bambino con disabilità, ma anche ai siblings. 

    Un esempio efficace di supporto è rappresentato dai programmi di intervento specifici per siblings, come il Sibshop Program sviluppato da Don Meyer, che mira a fornire un contesto sicuro per condividere esperienze, sviluppare competenze sociali e costruire reti di supporto tra pari. Tali interventi si sono dimostrati efficaci nel ridurre i livelli di stress e nel migliorare il benessere emotivo, come riportato da interventi documentati nel Journal of Pediatric Psychology (Dyke et al., 2009). Inoltre, è cruciale promuovere il dialogo aperto in famiglia, affinché i siblings possano esprimere liberamente le proprie emozioni e sentirsi inclusi in un progetto condiviso.

    Il compito dei professionisti, in questo contesto, è di sensibilizzare le famiglie sull’importanza di bilanciare le attenzioni, fornire sostegno psicologico e offrire strumenti per affrontare i bisogni di tutti i membri, senza trascurare l’importanza di momenti dedicati esclusivamente ai siblings. Solo attraverso un approccio globale, basato su evidenze scientifiche e su un profondo rispetto per la complessità delle relazioni familiari, è possibile trasformare le sfide della neurodiversità in opportunità di crescita e resilienza per l’intero nucleo familiare.

  • “L’amicizia autentica: il tesoro perduto nel mondo digitale”

    “L’amicizia autentica: il tesoro perduto nel mondo digitale”

    Danilo Littarru

    Nei tempi attuali, la parola amicizia è fortemente inflazionata e svilita nella sua portata reale, e i social sono la cartina di tornasole che ben dimostrano ciò, e che richiamano altresì la necessità di fermarsi un attimo per capirne l’importanza e la soavità del termine. La parola amicizia esprime un concetto maturo e profondo, sminuito, spesso, dalla banalità dell’uso quotidiano che ne facciamo. I numeri altisonanti di amicizie virtuali, talvolta, non rendono merito all’aspetto valoriale dell’amicizia.

    Turkle, psicologo sociale del Massachusetts Institute of Technology, nel libro Alone Togetherbasandosi su una ricerca fatta per quindici anni basata sull’osservazione dei bambini e delle interazioni degli adulti con la tecnologia, arriva alla conclusione che stiamo perdendo il significato della voce umana. Il termine “amico” è da ricondurre direttamente al latino amicus che ha la stessa radice di amare per cui significa letteralmente “colui che si ama”. L’amore amicale è proprio quello che i greci chiamerebbero φιλία (philia), un sentimento fraterno, assolutamente disinteressato, un’affinità che costruisce e ricostruisce continuamente lo stesso rapporto e che accresce le vite degli attori coinvolti.

    Ricorda la scrittrice Dacia Maraini che un rapporto d’amicizia che sia fra uomini o donne, è sempre un rapporto d’amore. E in una carezza, in un abbraccio, in una stretta di mano a volte c’è più sensualità che nel vero e proprio atto d’amore. Il tema dell’amicizia è stato motivo d’ispirazione per molti letterati, poeti ed artisti. Tutto questo perché i rapporti umani segnano la nostra vita e fanno parte del nostro cammino emotivo e di crescita personale. Sosteneva Epicuro: “Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un’esistenza felice, la più grande è l’amicizia”. Nella Sacra Scrittura, troviamo diversi passaggi sull’amicizia, celeberrimi sono i passi del Siracide (6,14-15) in cui si recita: Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoroL’amico fedele è un balsamo nella vita. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è misura per il suo valore. L’autenticità di una amicizia è allora data dalla possibilità di essere e sentirsi se stessi, accettati senza riserve. Secondo Cicerone siamo nati affinché ci fosse fra tutti un legame, e l’amicizia altro non è che una armonia di tutte le cose umane e divine, unite con la benevolenza e l’affetto. Ciò che cementa questo legame è la ricerca della virtù nell’altro. Non basta passare del tempo assieme per essere amici, frequentare gli stessi luoghi, avere gli stessi interessi, o fingersi “amico” per interesse, in un’ottica di tornaconto personale, perché così si svilirebbe l’essenza stessa dell’amicizia.

    L’amicizia richiede la capacità di ascolto empatico, fondato sulla comprensione reale della persona e non un ascolto apatico, in cui l’interesse è concentrato sui fatti e sulle idee piuttosto che sulla comprensione. Da quanto emerso, appare evidente l’enorme distanza tra l’amicizia reale e quella virtuale, dove il concetto stesso di amicizia risulta liquefatto e svuotato di significato. Si tende infatti a definire “amici” anche persone sconosciute, con cui si condividono superficialmente intimità e aspetti personali.

    La quantità spesso non va a braccetto con la preziosità, per questo, quando si finisce per chiamare amico ogni persona che neppure si conosce, trovo che ci sia una reale e malsana banalizzazione dell’amicizia stessa. Rimbalza ancora una volta la domanda che Seneca pone, nel De vita beataPerché non cercare un bene da potersi intimamente sentire, piuttosto che uno da mettere in vetrina? Amicizia resta la parola più ricercata e al contempo più mendicata sul web, in una dinamica di avere o togliere che spiazza e provoca ad una riflessione profonda.

    Educare al senso dell’amicizia diventa oggi più che mai importante, affinché, soprattutto i giovani possano superare la logica numerica delle amicizie virtuali come patente che legittima il prestigio sociale. Trascendere gli steccati che la virtualità comporta il recupero del senso della voce umana, e ci riabitua ad addomesticarci, proprio come ricorda Antoine de Saint-Exupéry nel Il Piccolo PrincipeNon si conoscono che le cose che si addomesticano. Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!

  • “Adolescenza e suicidio: capire il dolore per prevenire il gesto estremo”

    “Adolescenza e suicidio: capire il dolore per prevenire il gesto estremo”

    La solitudine, l’incomunicabilità, i conflitti interiori e le relazioni familiari difficili rappresentano esperienze comuni nell’adolescenza, una fase delicata di transizione verso l’età adulta. Tuttavia, in alcuni casi, questo percorso incontra ostacoli insormontabili, che possono culminare in un gesto estremo: il suicidio. Un dramma che attraversa silenziosamente il tessuto sociale e che spesso sfugge alla comprensione collettiva.

    Quando il dolore interiore diventa insopportabile, gli affetti, le amicizie e le passioni perdono significato, e il suicidio diventa l’unica via percepita per sfuggire alla sofferenza. Questo gesto, pur nella sua estrema drammaticità, rappresenta spesso un grido d’aiuto, un ultimo tentativo di comunicare un disagio profondo e radicato. Come rileva l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il suicidio è attualmente la terza causa di morte tra gli adolescenti e i giovani (15-29 anni). In Italia, secondo i dati ISTAT più recenti, i suicidi costituiscono il 12% delle morti in questa fascia d’età, una cifra che richiede una riflessione urgente e mirata.

    Il suicidio adolescenziale è il risultato di una complessa interazione tra fattori personali, familiari e ambientali. Tra i principali fattori di rischio emergono:

    1. Condizioni psicopatologiche: Depressione maggiore, disturbi d’ansia, disturbo bipolare e disturbi della personalità sono frequentemente associati al rischio di suicidio.
    2. Eventi traumatici: Abusi, violenze, lutti o separazioni familiari possono generare un trauma emotivo difficile da elaborare.
    3. Disfunzioni familiari: Rapporti conflittuali, mancanza di supporto emotivo e comunicazione inefficace sono elementi spesso ricorrenti nei casi di suicidio giovanile.
    4. Fattori socio-ambientali: Il bullismo, il cyberbullismo e la pressione accademica contribuiscono ad alimentare il senso di inadeguatezza e isolamento.
    5. Fragilità narcisistica: Gli adolescenti con un forte bisogno di rispecchiamento e conferma da parte degli altri possono sviluppare una vulnerabilità acuta quando queste aspettative vengono deluse.

    In molti casi, i suicidi non sono gesti improvvisi ma conseguenza di un processo che lascia segnali evidenti. Tra questi menzioniamo i:

    Segnali verbali: Frasi come “Non ce la faccio più” o “La vita non ha senso” possono essere un allarme.

    Cambiamenti comportamentali: Isolamento, perdita di interesse per attività amate, calo nel rendimento scolastico o cambiamenti drastici nell’umore.

    Comportamenti a rischio: Automutilazioni, abuso di sostanze o condotte pericolose.

    La prevenzione è un elemento cruciale nella lotta contro il suicidio adolescenziale. Secondo l’OMS, il 90% dei suicidi potrebbe essere prevenuto attraverso interventi tempestivi. Quali le strategie chiave? Eccone alcune:

    Educazione e sensibilizzazione: Promuovere campagne che riducano lo stigma verso il disagio mentale e incoraggino la ricerca di aiuto.

    Supporto psicologico: Offrire accesso agevole a servizi di consulenza e terapia, con particolare attenzione a scuole e comunità.

    Monitoraggio e ascolto: Formare educatori, genitori e operatori sanitari a riconoscere i segnali di disagio e a intervenire tempestivamente.

    Costruzione di resilienza: Insegnare agli adolescenti a gestire lo stress, sviluppare un’autostima solida e costruire relazioni positive.

    Le neuroscienze offrono una prospettiva preziosa per comprendere i meccanismi alla base del suicidio adolescenziale. Studi recenti hanno evidenziato come disfunzioni nella regolazione emotiva e nei circuiti della ricompensa (coinvolgenti strutture come l’amigdala e il sistema limbico) possano contribuire alla vulnerabilità al suicidio. Tecniche come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la mindfulness, supportate da dati neuroscentifici, si sono dimostrate efficaci nel migliorare la regolazione emotiva e ridurre il rischio suicidario.Il suicidio adolescenziale è un fenomeno complesso che richiede un approccio integrato, in cui la prevenzione, il supporto psicologico e la sensibilizzazione giocano un ruolo centrale.

    Riconoscere i segnali di allarme, promuovere un dialogo aperto sul disagio mentale e facilitare l’accesso a interventi mirati sono passi essenziali per affrontare questa emergenza sociale. Ogni vita salvata rappresenta una vittoria non solo per l’individuo, ma per l’intera comunità.