“La memoria non è un archivio statico, ma un atto creativo del cervello: ricorda ricostruendo, non conservando.” D.L.
Nel grande ordito delle funzioni cognitive, la memoria rappresenta il telaio invisibile su cui si intrecciano i processi dell’apprendimento, dell’identità e della coscienza. Non esiste pensiero, emozione o azione che non si radichi, almeno in parte, in una qualche forma di memoria. Ecco perché, nei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), la memoria merita un’attenzione particolare, non solo in fase diagnostica ma anche nei percorsi di riabilitazione e potenziamento.
I diversi tipi di memoria: classificazione e funzioni
Memoria di lavoro (working memory)
È il fulcro della nostra capacità di mantenere e manipolare informazioni per brevi periodi.
Esempio pratico: un bambino che ascolta una consegna e contemporaneamente deve trascrivere ciò che ha sentito.
Funzione: essenziale per la comprensione del testo, la risoluzione di problemi matematici e la pianificazione.
Memoria a breve termine
Immagazzina le informazioni per pochi secondi o minuti.
Esempio pratico: ricordare un numero di telefono per il tempo necessario a comporlo.
Funzione: sostiene l’apprendimento immediato, ma senza manipolazione attiva dei dati.
Memoria a lungo termine
Comprende le informazioni conservate per lunghi periodi. Si divide in:
- Memoria dichiarativa (esplicita): riguarda fatti (memoria semantica) e esperienze personali (memoria episodica).
- Memoria procedurale (implicita): concerne abilità automatiche, come andare in bicicletta o scrivere.
Funzione: immagazzina conoscenze, automatizza competenze, costruisce la narrazione autobiografica.

Quando la memoria non funziona bene: segnali e conseguenze
Nei bambini con DSA (in particolare dislessia, disortografia e discalculia), la memoria può presentare fragilità specifiche:
- Difficoltà nella memoria fonologica: ostacola la decodifica dei suoni e la corretta ortografia delle parole.
- Compromissione della memoria di lavoro: limita l’autonomia nei compiti complessi e rallenta l’elaborazione cognitiva.
- Deficit della memoria procedurale: rende difficoltosa l’automatizzazione delle abilità scolastiche, costringendo il bambino a “ripensare” ogni volta come si legge, scrive o calcola.
Queste difficoltà non vanno confuse con scarso impegno o svogliatezza: sono segni di un funzionamento neuropsicologico differente, che richiede un approccio mirato.
Strategie e strumenti per il potenziamento
Interventi mirati
- Training specifici sulla memoria di lavoro, come gli esercizi a carico cognitivo crescente (dual tasks, n-back).
- Mappe concettuali e visive, per alleggerire la memoria a breve termine e sostenere quella semantica.
- Routinizzazione, ovvero ripetizione e automatizzazione progressiva per rinforzare la memoria procedurale.
Tecnologie compensative
- Sintesi vocale, audiolibri e software per la gestione delle informazioni, particolarmente utili nei casi di dislessia.
Didattica metacognitiva
Aiuta il bambino a diventare consapevole dei propri processi mentali, utilizzando strategie come l’autoverbalizzazione (“Cosa sto facendo?”, “Qual è il prossimo passo?”).
Conclusione
In ambito educativo e clinico, la memoria non va intesa come un contenitore più o meno capiente, ma come una rete dinamica di processi interdipendenti. Quando uno di questi nodi è fragile, tutto l’assetto dell’apprendimento può risentirne. Ma la plasticità cerebrale, unita a un intervento precoce e competente, consente di sviluppare strategie adattive che rafforzano le risorse residue e valorizzano le intelligenze alternative. Comprendere i diversi tipi di memoria significa, dunque, aprire una finestra sul modo unico in cui ogni bambino impara, pensa e costruisce il proprio futuro.
