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  • Parole che agganciano la memoria

    Parole che agganciano la memoria

    Introduzione

    In un contesto scolastico sempre più sfidante, in cui l’overload informativo e la dispersione attentiva rendono difficile l’immagazzinamento stabile delle nozioni, le tecniche mnemoniche basate sull’ancoraggio semantico-visivo si rivelano strumenti preziosi. Particolarmente efficaci nei casi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), queste strategie potenziano la memoria di lavoro e facilitano l’accesso alle informazioni immagazzinate. Tra le più efficaci troviamo l’uso delle parole-piolo, delle parole-gancio e delle parole-chiave.

    1. Parole-piolo (Peg words): strutturare la memoria associativa

    Le parole-piolo si basano sull’associazione tra numeri e parole concrete che rimandano a immagini visive forti. Ogni numero viene “agganciato” a una parola foneticamente simile (es. 1 = pane, 2 = navi, 3 = mela…) per creare una base stabile di supporto mnemonico.

    🔹 Esempio:

    Per ricordare l’ordine di cinque elementi (es. Paesi fondatori dell’UE):

    • 1 = pane → Italia (immagino un pane a forma di stivale)
    • 2 = nave → Francia (immagino una nave con bandiera francese)
    • 3 = mela → Germania (immagino una mela con la bandiera tedesca)
    • ecc.

    ✅ Nei DSA:

    Gli alunni con dislessia o disortografia trovano nelle parole-piolo un supporto visivo e narrativo che sostituisce l’astrazione verbale pura. Lo storytelling simbolico rafforza la memoria semantica e crea “ganci” resistenti all’interferenza.

    2. Parole-gancio (Hook words): ancoraggi semantici e emotivi

    Le parole-gancio sono termini-ponte che collegano l’informazione nuova a qualcosa di già noto o emotivamente coinvolgente. Si basano sul principio della memoria relazionale.

    🔹 Esempio:

    Per ricordare il significato di osmosi:

    • Gancio: “osmo” → “osso” → immagino un osso che si inzuppa d’acqua per richiamare il passaggio del solvente.

    ✅ Nei DSA:

    Le parole-gancio sono utili in caso di dislessia e disgrafia poiché legano l’apprendimento a concetti già acquisiti, creando mappe semantiche più solide. L’uso di metafore e analogie riduce lo sforzo cognitivo.

    3. Parole-chiave (Keyword method): ponti tra lingue e significati

    La parola-chiave è una tecnica largamente utilizzata nell’apprendimento linguistico e scientifico. Si tratta di associare un termine sconosciuto a una parola dal suono simile in lingua madre, seguita da un’immagine mentale che collega i significati.

    🔹 Esempio:

    Inglese: “chair” (sedia)
    → Chiave italiana: “ciare” (immagino qualcuno che “ciarla” seduto su una sedia).
    L’associazione visiva aiuta a fissare il termine.

    ✅ Nei DSA:

    Fondamentale per i soggetti con discalculia e dislessia, perché sfrutta l’intelligenza visuo-spaziale e verbale al servizio della transcodifica. È spesso usata nella metodologia Feuerstein e nei protocolli compensativi personalizzati.

    Le basi neuroscientifiche delle tecniche mnemoniche

    Studi in neuropsicologia cognitiva (Paivio, 1990; Mayer, 2009) confermano che l’associazione verbo-visiva attiva più circuiti cerebrali, migliorando l’immagazzinamento a lungo termine. In particolare:

    • Lobo temporale mediale: implicato nella formazione della memoria episodica
    • Corteccia prefrontale dorsolaterale: coinvolta nella manipolazione e nel recupero mnemonico
    • Ippocampo: consolidamento delle tracce mnestiche

    Nei soggetti con DSA, questi circuiti mostrano un’efficienza alterata, ma le tecniche descritte stimolano le aree compensative, aumentando l’accessibilità delle informazioni.

    Considerazioni pedagogiche e cliniche

    • L’uso multimodale di immagini, storie e fonemi consente un apprendimento accessibile anche in presenza di profili cognitivi atipici.
    • È cruciale integrare queste tecniche nei Piani Didattici Personalizzati (PDP), rendendo l’intervento non solo clinico ma anche educativo.
    • La ripetizione distribuita e l’auto-produzione di immagini mentali sono elementi che aumentano l’efficacia dell’apprendimento strategico,

    Conclusione

    Le parole-piolo, gancio e chiave non sono scorciatoie mnemoniche, ma strumenti di democrazia cognitiva: trasformano l’apprendimento in un’esperienza accessibile, creativa e duratura. Per i soggetti con DSA, rappresentano una via alternativa alla linearità tradizionale, valorizzando intelligenze laterali spesso inascoltate.

    “Non è la memoria a essere debole, ma la via d’accesso a essa a non essere ancora stata costruita.”
    D. L.


  • Perché le Lezioni da 60 Minuti Non Funzionano (Più)

    Perché le Lezioni da 60 Minuti Non Funzionano (Più)

    Il mito delle 5 ore: quanto apprendono davvero gli studenti?

    L’architettura oraria della scuola italiana — mediamente composta da cinque moduli da 60 minuti — risale a modelli educativi del primo Novecento. Oggi, le neuroscienze dimostrano che questo assetto è incompatibile con il funzionamento neurobiologico dell’attenzione umana, soprattutto in età evolutiva.

    Uno studio pubblicato su Teaching of Psychology (Wilson & Korn, 2007) ha evidenziato come il picco di attenzione si raggiunga nei primi 10-15 minuti di una lezione, per poi declinare drasticamente. Dopo 30 minuti, il cervello è già in fase di disimpegno. A 45 minuti, l’apprendimento è minimo, salvo nei casi in cui si introducano variazioni di stimolo, pause o metodi attivi.

    Quanto si trattiene dopo una giornata scolastica?

    Secondo la curva dell’oblio di Ebbinghaus, senza rinforzo:

    • Dopo 24 ore, si dimentica il 70% delle nozioni ricevute.
    • Dopo una settimana, resta meno del 10%.

    Questi dati sono stati confermati da ricerche più recenti sull’apprendimento, come quelle condotte da John Dunlosky e Elizabeth Bjork: la ripetizione distribuita, il recupero attivo e il testing effect sono decisivi per il consolidamento in memoria a lungo termine.

    Dalla lezione trasmissiva alla didattica neurocompatibile

    L’inadeguatezza del modello lezione-spiegazione-interrogazione ha portato a una nuova pedagogia delle neuroscienze. La cosiddetta neurodidattica propone formati brevi, modulari e multisensoriali, con momenti di rielaborazione attiva.

    Tra le alternative già in sperimentazione:

    • Spaced Learning (UK, progetto dell’OECD): lezioni da 20 minuti, interrotte da 10 minuti di attività motorie o ludiche. Risultato: +17% di ritenzione a lungo termine.
    • Metodo CLIL e flipped classroom: lo studente è al centro del processo, attivo nella costruzione di significato. Il docente diventa mediatore e facilitatore cognitivo.
    • Metodo finlandese: lezioni da 45 minuti, con pause ogni 15, alto uso di outdoor education. Secondo PISA 2022, la Finlandia è tra i Paesi con migliori risultati in reading e problem-solving.
    • Scuole senza voti (Germania, Olanda): il focus si sposta su feedback qualitativi e sviluppo metacognitivo.

    Progetti pilota italiani

    In Italia, alcune esperienze pionieristiche stanno tracciando nuove vie:

    • Istituto Comprensivo di Trento 7, con il progetto “Tempo modulato”: lezioni da 30 minuti, alternate a momenti di scrittura cooperativa, coding, attività teatrali.
    • Scuole Senza Zaino: al centro la responsabilizzazione dello studente e la progettualità personale.
    • “Didattica del silenzio” di Franco Lorenzoni, Casa-laboratorio di Cenci: stimolazione dell’intelligenza emotiva, non solo cognitiva.

    Quale futuro per la didattica?

    Occorre ripensare radicalmente la scansione temporale dell’apprendimento:

    • Moduli di 20-25 minuti con frequenti pause attive
    • Integrazione di attività motorie e manipolative
    • Valutazioni formative e non solo sommative
    • Ambienti di apprendimento flessibili e neuroergonomici

    La scuola del futuro dovrà essere bio-compatibile, adattata al ritmo cerebrale e non viceversa.

  • Tipi di memoria funzioni e potenziamento nei DSA

    Tipi di memoria funzioni e potenziamento nei DSA

    La memoria non è un archivio statico, ma un atto creativo del cervello: ricorda ricostruendo, non conservando.” D.L.

    I diversi tipi di memoria: classificazione e funzioni

    Memoria di lavoro (working memory)

    È il fulcro della nostra capacità di mantenere e manipolare informazioni per brevi periodi.
    Esempio pratico: un bambino che ascolta una consegna e contemporaneamente deve trascrivere ciò che ha sentito.
    Funzione: essenziale per la comprensione del testo, la risoluzione di problemi matematici e la pianificazione.

    Memoria a breve termine

    Immagazzina le informazioni per pochi secondi o minuti.
    Esempio pratico: ricordare un numero di telefono per il tempo necessario a comporlo.
    Funzione: sostiene l’apprendimento immediato, ma senza manipolazione attiva dei dati.

     Memoria a lungo termine

    Comprende le informazioni conservate per lunghi periodi. Si divide in:

    • Memoria dichiarativa (esplicita): riguarda fatti (memoria semantica) e esperienze personali (memoria episodica).
    • Memoria procedurale (implicita): concerne abilità automatiche, come andare in bicicletta o scrivere.

    Funzione: immagazzina conoscenze, automatizza competenze, costruisce la narrazione autobiografica.

    Quando la memoria non funziona bene: segnali e conseguenze

    Nei bambini con DSA (in particolare dislessia, disortografia e discalculia), la memoria può presentare fragilità specifiche:

    • Difficoltà nella memoria fonologica: ostacola la decodifica dei suoni e la corretta ortografia delle parole.
    • Compromissione della memoria di lavoro: limita l’autonomia nei compiti complessi e rallenta l’elaborazione cognitiva.
    • Deficit della memoria procedurale: rende difficoltosa l’automatizzazione delle abilità scolastiche, costringendo il bambino a “ripensare” ogni volta come si legge, scrive o calcola.

    Queste difficoltà non vanno confuse con scarso impegno o svogliatezza: sono segni di un funzionamento neuropsicologico differente, che richiede un approccio mirato.

    Strategie e strumenti per il potenziamento

    Interventi mirati

    • Training specifici sulla memoria di lavoro, come gli esercizi a carico cognitivo crescente (dual tasks, n-back).
    • Mappe concettuali e visive, per alleggerire la memoria a breve termine e sostenere quella semantica.
    • Routinizzazione, ovvero ripetizione e automatizzazione progressiva per rinforzare la memoria procedurale.

    Tecnologie compensative

    • Sintesi vocale, audiolibri e software per la gestione delle informazioni, particolarmente utili nei casi di dislessia.

    Didattica metacognitiva

    Aiuta il bambino a diventare consapevole dei propri processi mentali, utilizzando strategie come l’autoverbalizzazione (“Cosa sto facendo?”, “Qual è il prossimo passo?”).

    Conclusione

    In ambito educativo e clinico, la memoria non va intesa come un contenitore più o meno capiente, ma come una rete dinamica di processi interdipendenti. Quando uno di questi nodi è fragile, tutto l’assetto dell’apprendimento può risentirne. Ma la plasticità cerebrale, unita a un intervento precoce e competente, consente di sviluppare strategie adattive che rafforzano le risorse residue e valorizzano le intelligenze alternative. Comprendere i diversi tipi di memoria significa, dunque, aprire una finestra sul modo unico in cui ogni bambino impara, pensa e costruisce il proprio futuro.

  • La difficoltà di memorizzare: neuroscienze e neuropsicologia ci possono aiutare. Come? 

    La difficoltà di memorizzare: neuroscienze e neuropsicologia ci possono aiutare. Come? 

    Gent.mo Professore, ho insegnato per 40 anni in un liceo. Negli ultimi anni ho riscontrato negli alunni la difficoltà di memorizzazione delle nozioni. A distanza di 50 anni ricordo ancora le poesie insegnatemi nelle elementari. Esiste una causa e degli strumenti che possano compensare questa difficoltà? Marcello

    Parto da una premessa. Lei mi parla dei tempi andati, percepisco una certa nostalgia e struggenza, come è giusto che sia, però dobbiamo prendere atto che i tempi attuali sono terribilmente differenti e terribilmente difficili. Il cambio generazionale è violento, da un biennio all’altro ci troviamo dinanzi a ragazzi che arrivano con scarse basi di scolarizzazione, con problemi comportamentali, con certificazioni che attestano disturbi dell’apprendimento e bisogni educativi speciali,

    Quasi ogni giorno siamo costretti a chiamare le ambulanze per un pronto intervento per attacchi di ansia e panico. I tempi che furono non possono essere un metro di paragone con la generazione attuale. Troppe cose son cambiate nel frattempo, in primis la famiglia, la visione della scuola e dell’insegnante, e soprattutto non siamo ancora preparati a contenere e ad educare ad uso corretto delle tecnologie informatiche. Proprio su quest’ultimo aspetto, recenti studi sottolineano che oramai ci siamo abituati a vivere con la certezza che le risposte che ci servono sono a portata di un clic, concependo il web come una memoria esterna alternativa. Quando ci manca una informazione o non ricordiamo qualcosa, ci viene in aiuto Mister Google. Siamo cresciuti nel trovare la strada che ci porta a trovare l’informazione a noi utile, ma rispetto a qualche decennio fa, memorizziamo molto meno alcune informazioni. Secondo una ricerca dell’Università di Fairfield, è un fenomeno che sembra estendersi anche alle immagini: persino fare fotografie può ridurre i ricordi delle immagini viste. La memoria, se non viene allenata, al pari della muscolatura, tende ad inflaccidirsi, per questo resta fondamentale un training continuo. Oggi, come sottolinea A. Keen, in ‘The Internet is Not the Answer‘, (Internet non è la risposta) allenamento e rigore mentale sono andati perduti.

    Spesso capita di trovare un numero consistente di allievi che nonostante si applichino nello studio non riescano a ricordare, né ad esprimerle compiutamente ciò che hanno studiato. Dopo la fatica, i risultati non sempre sono commisurati allo sforzo e producono risultati scadenti, creando scoraggiamento e sconforto. Neuroscienze e neuropsicologia, che da anni studiano il fenomeno, danno delle risposte in merito, soprattutto sullo studio della memoria nelle sue varie manifestazioni, ma come spesso succede le conoscenze che emergono, rimangono confinate nel ristretto ambito clinico-riabilitativo, per pochi eletti, e non giungono alla destinazione interessata e coinvolta per prima: la scuola.  

    André Rey, nel 1958 ha strutturato una prova che consente di misurare esattamente l’abilità chiamata prova di apprendimento verbale. Al soggetto è presentata una lista di 15 parole che deve cercare di ricordare al termine di ogni presentazione, per 5 volte registrando quanti elementi vengono ricordati. Successivamente il soggetto viene distratto con attività spaziali e dopo 15 minuti gli viene chiesto di ripetere la lista.La curva di apprendimento, in genere, mostra un rapido incremento nel numero di parole ricordate dopo la seconda somministrazione. Il numero di parole cresce fino ad avvicinarsi a 15 al quarto tentativo e spesso tutte le parole vengono ricordate all’ultima ripetizione. Dopo 15 minuti la maggior parte delle persone ricorda l’intera lista senza difficoltà. Ecco dunque un aspetto interessante che deve farci riflettere: nonostante la fase di apprendimento della lista di parole, il recupero a distanza delle informazioni apprese può essere inefficiente: l’immagazzinamento funziona, ma il ricordo no. Siffatta prova conferma quello che a volte si verifica nell’apprendimento scolastico, ovvero, informazioni che al termine del pomeriggio di studio sembravano immagazzinate, dopo qualche ora non sono più recuperabili. Può esistere apprendimento senza ricordo?  Le neuroscienze ci aiutano indicandoci che l’aspetto importante è capire se il soggetto non ricorda o non immagazzina. Sovente si immagazzina ma non si ricorda, e questa è una situazione che trova un trend più frequente nelle nuove generazioni.

    Il problema è risolvibile, con strumenti compensativi, che sovente restano sconosciuti agli stessi insegnanti. Ad uno studente che ha davvero problemi a ricordare una formula o una regola, basta dargli il magazzino delle formule e delle regole a disposizione e lui supererà le sue difficoltà. Gli strumenti ci sono, occorre un utilizzo corretto senza preconcetti di sorta.