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  • La difficoltà di memorizzare: neuroscienze e neuropsicologia ci possono aiutare. Come? 

    La difficoltà di memorizzare: neuroscienze e neuropsicologia ci possono aiutare. Come? 

    Gent.mo Professore, ho insegnato per 40 anni in un liceo. Negli ultimi anni ho riscontrato negli alunni la difficoltà di memorizzazione delle nozioni. A distanza di 50 anni ricordo ancora le poesie insegnatemi nelle elementari. Esiste una causa e degli strumenti che possano compensare questa difficoltà? Marcello

    Parto da una premessa. Lei mi parla dei tempi andati, percepisco una certa nostalgia e struggenza, come è giusto che sia, però dobbiamo prendere atto che i tempi attuali sono terribilmente differenti e terribilmente difficili. Il cambio generazionale è violento, da un biennio all’altro ci troviamo dinanzi a ragazzi che arrivano con scarse basi di scolarizzazione, con problemi comportamentali, con certificazioni che attestano disturbi dell’apprendimento e bisogni educativi speciali,

    Quasi ogni giorno siamo costretti a chiamare le ambulanze per un pronto intervento per attacchi di ansia e panico. I tempi che furono non possono essere un metro di paragone con la generazione attuale. Troppe cose son cambiate nel frattempo, in primis la famiglia, la visione della scuola e dell’insegnante, e soprattutto non siamo ancora preparati a contenere e ad educare ad uso corretto delle tecnologie informatiche. Proprio su quest’ultimo aspetto, recenti studi sottolineano che oramai ci siamo abituati a vivere con la certezza che le risposte che ci servono sono a portata di un clic, concependo il web come una memoria esterna alternativa. Quando ci manca una informazione o non ricordiamo qualcosa, ci viene in aiuto Mister Google. Siamo cresciuti nel trovare la strada che ci porta a trovare l’informazione a noi utile, ma rispetto a qualche decennio fa, memorizziamo molto meno alcune informazioni. Secondo una ricerca dell’Università di Fairfield, è un fenomeno che sembra estendersi anche alle immagini: persino fare fotografie può ridurre i ricordi delle immagini viste. La memoria, se non viene allenata, al pari della muscolatura, tende ad inflaccidirsi, per questo resta fondamentale un training continuo. Oggi, come sottolinea A. Keen, in ‘The Internet is Not the Answer‘, (Internet non è la risposta) allenamento e rigore mentale sono andati perduti.

    Spesso capita di trovare un numero consistente di allievi che nonostante si applichino nello studio non riescano a ricordare, né ad esprimerle compiutamente ciò che hanno studiato. Dopo la fatica, i risultati non sempre sono commisurati allo sforzo e producono risultati scadenti, creando scoraggiamento e sconforto. Neuroscienze e neuropsicologia, che da anni studiano il fenomeno, danno delle risposte in merito, soprattutto sullo studio della memoria nelle sue varie manifestazioni, ma come spesso succede le conoscenze che emergono, rimangono confinate nel ristretto ambito clinico-riabilitativo, per pochi eletti, e non giungono alla destinazione interessata e coinvolta per prima: la scuola.  

    André Rey, nel 1958 ha strutturato una prova che consente di misurare esattamente l’abilità chiamata prova di apprendimento verbale. Al soggetto è presentata una lista di 15 parole che deve cercare di ricordare al termine di ogni presentazione, per 5 volte registrando quanti elementi vengono ricordati. Successivamente il soggetto viene distratto con attività spaziali e dopo 15 minuti gli viene chiesto di ripetere la lista.La curva di apprendimento, in genere, mostra un rapido incremento nel numero di parole ricordate dopo la seconda somministrazione. Il numero di parole cresce fino ad avvicinarsi a 15 al quarto tentativo e spesso tutte le parole vengono ricordate all’ultima ripetizione. Dopo 15 minuti la maggior parte delle persone ricorda l’intera lista senza difficoltà. Ecco dunque un aspetto interessante che deve farci riflettere: nonostante la fase di apprendimento della lista di parole, il recupero a distanza delle informazioni apprese può essere inefficiente: l’immagazzinamento funziona, ma il ricordo no. Siffatta prova conferma quello che a volte si verifica nell’apprendimento scolastico, ovvero, informazioni che al termine del pomeriggio di studio sembravano immagazzinate, dopo qualche ora non sono più recuperabili. Può esistere apprendimento senza ricordo?  Le neuroscienze ci aiutano indicandoci che l’aspetto importante è capire se il soggetto non ricorda o non immagazzina. Sovente si immagazzina ma non si ricorda, e questa è una situazione che trova un trend più frequente nelle nuove generazioni.

    Il problema è risolvibile, con strumenti compensativi, che sovente restano sconosciuti agli stessi insegnanti. Ad uno studente che ha davvero problemi a ricordare una formula o una regola, basta dargli il magazzino delle formule e delle regole a disposizione e lui supererà le sue difficoltà. Gli strumenti ci sono, occorre un utilizzo corretto senza preconcetti di sorta.

  • EDUCARE ALLE EMOZIONI: L’IMPORTANZA DEL QUOZIENTE EMOTIVO

    EDUCARE ALLE EMOZIONI: L’IMPORTANZA DEL QUOZIENTE EMOTIVO

    In psicologia, le emozioni vengono descritte come stati complessi di sentimenti che scatenano reazioni psicofisiche, influenzando i pensieri e i comportamenti. Come sottolineato dal Dr. Paul Ekman, psicologo e ricercatore noto per i suoi studi sulle emozioni universali, “le emozioni sono reazioni psicologiche di adattamento agli stimoli esterni” e sono essenziali per la sopravvivenza e per l’interazione sociale. Esse si manifestano attraverso risposte fisiologiche (come la variazione della frequenza cardiaca e respiratoria), risposte tonico-posturali (tensione o rilassamento del corpo), comportamentali e espressive (ad esempio attraverso il linguaggio e le espressioni facciali).

    Fino a qualche decennio fa, si attribuiva una grande importanza al quoziente intellettivo (QI) come indicatore di successo. Tuttavia, l’approccio educativo è cambiato radicalmente. Negli ultimi anni, l’attenzione si è spostata verso un concetto più ampio di intelligenza, quello dell’intelligenza emotiva, evidenziando come la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le emozioni sia altrettanto cruciale per il successo e il benessere. Come dimostrato da numerosi studi, tra cui quelli di Daniel Goleman, esperto di intelligenza emotiva, l’intelligenza emotiva (EQ) è predittiva di successo nella vita sociale e professionale, poiché influisce sul modo in cui affrontiamo le sfide, gestiamo i conflitti e ci relazioniamo con gli altri.

    Nel 1983, Howard Gardner, psicologo della Harvard University, ha rivoluzionato la concezione tradizionale di intelligenza, proponendo la teoria delle intelligenze multiple. Secondo Gardner, ogni individuo possiede una varietà di intelligenze che si sviluppano nel corso della vita, tra cui l’intelligenza linguistica, matematica, interpersonale e intrapersonale. Quest’ultima, che riguarda la comprensione e gestione delle proprie emozioni, è strettamente legata all’intelligenza emotiva e gioca un ruolo cruciale nell’educazione.

    Un altro autore fondamentale nella comprensione dell’intelligenza emotiva è Daniel Goleman, il cui libro Intelligenza Emotiva ha dato impulso alla diffusione di questa teoria. Goleman sostiene che le emozioni non sono semplicemente reazioni passivi, ma possiedono una funzione adattiva che aiuta a prendere decisioni più consapevoli e a rispondere meglio alle sfide della vita quotidiana. La sua ricerca, inoltre, ha evidenziato che il quoziente emozionale può essere migliorato attraverso pratiche educative mirate, come l’apprendimento della consapevolezza emotiva e la gestione dei conflitti, competenze che sono essenziali per una crescita equilibrata.

    Le neuroscienze, inoltre, confermano che i sistemi cognitivi ed emotivi sono strettamente connessi. Studi recenti hanno dimostrato che il cervello elabora simultaneamente informazioni emotive e razionali, suggerendo che un’educazione che trascuri la dimensione emotiva rischia di limitare il potenziale di sviluppo di un individuo. Come affermato dal neuroscienziato Antonio Damasio, “le emozioni sono essenziali per la ragione”, indicando che senza una comprensione profonda delle proprie emozioni, le decisioni razionali risultano compromesse.

    Educare i giovani all’intelligenza emotiva è fondamentale per prevenire problematiche psicologiche come attacchi di rabbia, ansia, disturbi alimentari e dipendenze da sostanze psicoattive. Inoltre, un basso quoziente emotivo è stato associato a difficoltà nell’interazione sociale e a comportamenti devianti. Come sottolinea la Società Italiana di Psicologia (SIP), un’educazione che integra competenze emotive è cruciale per un benessere psicologico duraturo.

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