Quando il sacro parla un altro linguaggio.
Il sacro nel silenzio: la spiritualità neurodivergente
Nel panorama della psicologia contemporanea, sta emergendo un tema ancora poco esplorato ma fondamentale: la relazione tra neurodivergenza e spiritualità. Sempre più persone nello spettro autistico, con ADHD, disprassie o difficoltà di elaborazione sensoriale, mostrano di vivere forme profondamente autentiche e originali di spiritualità.
Non si tratta solo di una diversa modalità di credere, ma di un vero e proprio altro linguaggio del sacro: più intuitivo che razionale, più viscerale che dogmatico, più contemplativo che discorsivo.

Quando il divino si manifesta senza parole
Le caratteristiche neurodivergenti, spesso ridotte a “sintomi” o “deficit” in ambito clinico, possono aprire soglie inedite dell’esperienza spirituale. L’ipersensibilità ai suoni, alla luce, ai colori, alle vibrazioni, porta molte persone a vivere una sorta di mistica sensoriale, in cui il divino si manifesta nell’eccesso del reale.
Come scrive il teologo Jean Vanier:
“Coloro che non possono parlare sono spesso coloro che sanno ascoltare Dio più a fondo di chiunque altro.”
Mistica atipica o spiritualità autentica?
Alcuni approcci della psicologia transpersonale (Lukoff et al., 1998) sostengono che esperienze spirituali intense, comunemente associate a stati psicotici o dissociativi, possano invece rappresentare forme legittime di trascendenza per persone neurodivergenti. Il problema non sta nell’esperienza in sé, ma nel modo in cui viene interpretata dal contesto clinico e sociale.
La spiritualità neurodivergente ci chiede di ripensare la diagnosi, ma anche la teologia esperienziale, aprendoci a nuovi modi di nominare e abitare il Mistero.
Una Chiesa che includa davvero: segni, tempi, corpi e silenzi
La sfida più profonda non è solo culturale o psicologica, ma ecclesiale. Una Chiesa realmente inclusiva non si limita ad accogliere “con pazienza”, ma trasforma se stessa per essere casa comune anche per chi non parla, non segue i rituali, o manifesta la propria fede in modi non convenzionali.
Come ha ricordato Papa Francesco:
“La Chiesa è chiamata a essere casa di tutti. Nessuno escluso. Nessuno.”
Una liturgia dal linguaggio plurale
La Messa e i riti sacramentali presuppongono spesso una comprensione verbale e simbolica non sempre accessibile alle persone neurodivergenti. Serve invece una pastorale neuroinclusiva, che utilizzi:
- il linguaggio dei segni (LIS) per rendere accessibile la liturgia;
- supporti visivi, simbolici e tattili;
- adattamenti dei tempi (messe brevi, con pause, spazi di decompressione sensoriale);
- attenzione al non verbale: silenzi, gesti, sguardi.
La spiritualità nei tempi altri
Le persone neurodivergenti vivono il tempo in modo diverso. Un bambino con autismo può non comprendere la struttura di una Messa, ma percepire in profondità la sacralità di una luce accesa, di un canto, di un abbraccio.
La Chiesa deve imparare a scandire il tempo del culto con i tempi dell’anima, anche quando questi non sono lineari.
Accogliere senza giudizio
Ancora oggi, famiglie con figli neurodivergenti raccontano di essere guardate con fastidio o sospetto durante le celebrazioni. Il rumore, il movimento, l’imprevedibilità vengono letti come “disturbo” anziché come diversa partecipazione.
Ma non si tratta solo di tollerare: si tratta di trasformare la comunità in uno spazio sacramentale di accoglienza.
“La differenza non è un ostacolo alla fede. È il suo volto più umano.”
(D. Littarru)
Educare all’invisibile
Educatori, catechisti, parroci e operatori pastorali necessitano di formazione teologica e psicologica specifica. Serve una catechesi che non insegni solo i contenuti, ma alleni lo sguardo a riconoscere il sacro nell’altro. Anche (e soprattutto) quando l’altro è fragile, silenzioso, inquieto o disorganizzato.
Insegnare che Dio abita il diverso, significa umanizzare la fede.
Conclusione
La neurodivergenza, lungi dall’essere un ostacolo alla fede, è una lente attraverso cui riscoprire la profondità della spiritualità cristiana. È tempo che la Chiesa — liturgia, catechesi, comunità — si lasci interpellare da questi nuovi linguaggi del sacro.
Perché Dio non parla solo nelle Scritture, ma anche nel silenzio di chi non può leggere, nel movimento di chi non riesce a star fermo, nell’ipersensibilità di chi “sente” tutto.
