Taser e solitudine dello stato: chi protegge chi ci protegge?

In una giornata come tante, due membri delle forze dell’ordine fermano un uomo che rifiuta le regole. Tentano di contenerlo, il Taser entra in azione: lo strumento “non letale” diventa letale. L’uomo muore, e con lui crolla anche la certezza di chi indossa la divisa.

Il paradosso è chiaro: chi serve lo Stato viene lasciato solo dallo Stato. Da garanti della sicurezza a imputati per omicidio colposo. Con le spese legali a carico e la percezione che la divisa, in fondo, sia un’armatura bucata.

✦ Ma qui va detto con chiarezza: non sono ammessi eccessi di forza, squilibri e arroganze che talvolta la divisa porta con sé quando viene indossata da chi fraintende il proprio ruolo. L’abuso di potere, l’uso sproporzionato della forza, l’arroganza istituzionale vanno condannati senza ambiguità. La società deve distinguere tra chi agisce per necessità e chi invece sfrutta l’uniforme come strumento di sopraffazione.

E allora la domanda resta: come possiamo chiedere sicurezza se non siamo disposti ad assumerci collettivamente le conseguenze di chi rischia la vita per garantirla? Celebriamo le forze dell’ordine come eroi, ma le abbandoniamo al primo errore. Condanniamo con forza ogni abuso, ma proteggiamo chi agisce correttamente, anche quando l’esito è tragico.

⟡ O lo Stato garantisce davvero protezione ai suoi uomini, oppure continueremo a recitare una farsa: la sicurezza “senza macchia” che non esiste.
Dietro ogni uniforme c’è una persona.
E prima di puntare il dito, dovremmo chiederci: chi protegge chi ci protegge?