Maria, una mia lettrice, mi ha scritto raccontando il tormento che vive con i suoi genitori, in particolare con la madre che non sente e vede da anni. Vive una situazione di travaglio interiore molto acceso e mi chiede se si può perdonare e come incide sul benessere mentale.
Spesso le relazioni interpersonali, chiamate ad appagare il primario bisogno umano di affiliazione, possono essere anche fonte di conflitti, lacerazioni profonde e dolorose ferite. I legami parentali sono quelli che più frequentemente generano conflitti, rotture, sofferenze e speranze disattese, anche in età adulta.
Si sente spesso dire dai genitori che i figli sono dei giudici spietati. Forse c’è un fondo di verità, soprattutto quando, rileggendo la nostra storia personale, riemergono ricordi dolorosi o viviamo la disillusione di non essere amati o di non esserlo stati come avremmo desiderato. La ricerca di un’equa logica “redistributiva” appartiene alla natura umana ed è biologicamente e psicologicamente radicata.
Un fattore significativo, che può aiutare a fronteggiare le inevitabili fratture relazionali, è proprio la capacità di perdonare. Tradizionalmente legato alla sfera religiosa, il perdono è diventato, negli ultimi anni, un oggetto di interesse scientifico. Diversi studi lo hanno analizzato dal punto di vista psicologico, riconoscendolo come un meccanismo sociale fondamentale.
Perdonare consiste nel modificare l’emozione legata a una situazione dolorosa, trovando un equilibrio che permetta di ridefinire l’evento in termini costruttivi. Come si può dedurre, il perdono è un fenomeno complesso che coinvolge aspetti affettivi, cognitivi e comportamentali. Le emozioni negative e il giudizio verso il “colpevole” vengono ridotti, senza negare il diritto di provarle, ma guardando al colpevole con compassione, benevolenza e amore.
Ci sono dei passaggi necessari che aprono spiragli di risoluzione del conflitto interiore. La fase di Maria, è quella della “ruminazione cognitiva”, durante la quale la reazione emotiva iniziale si attenua, lasciando spazio a un atto volontario di rinuncia al conflitto.
Il processo di perdono si sviluppa in più fasi, tre delle quali sono fondamentali:
1. Piena espressione delle emozioni: accettare e riconoscere ciò che si prova.
2. Comprensione dell’evento: riflettere su ciò che è accaduto e sulle sue cause.
3. Decisione di perdonare: scegliere di non riferirsi più al passato e superare l’accaduto.
In psicoterapia, il perdono rappresenta un mezzo efficace per superare risentimenti, ansia e sensi di colpa, anche verso sé stessi, attraverso l’accettazione della propria storia personale.
Per quanto riguarda il percorso spirituale, sappiamo bene quanto la fede e la preghiera possano essere di aiuto nei momenti di difficoltà. Gesù Cristo ha fatto del perdono uno dei punti centrali del suo insegnamento. Non a caso una delle pagine più toccanti della Bibbia è la parabola del Figliol Prodigo o del Padre Misericordioso, che ben rappresenta il senso del perdono cristiano, anzi ne è la vera essenza. Il Padre perdona senza necessità di chiarimenti, senza proferire parole o pronunciare giudizi inutili. Basta un abbraccio lungo e silenzioso: è l’abbraccio di un padre e di una madre, come Rembrandt riuscirà a immortalare nel suo capolavoro custodito all’Hermitage di San Pietroburgo.
Un consiglio finale: oltre un sano cammino spirituale, sarebbe ottimale accompagnare le sue giornate con la lettura di un buon libro. Mi permetto di suggerirle quello scritto magistralmente da Sergio Prenot: “I piedi del figlio prodigo. Uno psicoterapeuta riflette sulle parabole della misericordia, son certo che potrebbe aiutarla nel suo percorso di rinascita personale, psichica e spirituale.