La dipendenza da Internet, tecnicamente definita Internet Addiction Disorder (IAD) o Disturbo da Dipendenza da Internet, rappresenta un fenomeno in continua espansione, soprattutto tra gli adolescenti. Si tratta di una dipendenza comportamentale caratterizzata da un utilizzo eccessivo, incontrollato e compulsivo della rete, con conseguenze negative sulla vita personale, sociale, scolastica e lavorativa. Sebbene non sia ancora ufficialmente riconosciuta come disturbo a sé stante nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), la IAD è oggetto di numerosi studi scientifici, che ne evidenziano l’impatto crescente nella società digitale. Altri termini utilizzati in ambito scientifico per descrivere questa problematica includono Problematic Internet Use (PIU), Compulsive Internet Use (CIU) e, per specifici casi legati ai videogiochi, Gaming Disorder, quest’ultimo già riconosciuto come patologia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella classificazione ICD-11.
Negli adolescenti, il fenomeno della dipendenza da Internet si sta diffondendo con caratteristiche quasi epidemiche. Secondo Federico Tonioni, responsabile del primo ambulatorio italiano dedicato a questo disturbo presso il Policlinico Gemelli di Roma, molti giovani sviluppano un rapporto malsano con il web, soprattutto attraverso un uso compulsivo di social network come Facebook, Instagram, TikTok e chat. Questo tipo di comportamento, definito anche “binge digitale“, è caratterizzato da sessioni di connessione prolungate e incontrollate che riducono la capacità di interazione reale. Il web tende a privilegiare relazioni duali e virtuali, che spesso sostituiscono il dialogo diretto e l’incontro personale, con conseguenti difficoltà nello sviluppo di relazioni autentiche e nel rafforzamento dell’identità personale.
Dal punto di vista clinico, i sintomi della dipendenza da Internet sono simili a quelli di altre dipendenze comportamentali. I soggetti colpiti possono manifestare craving (desiderio incontrollabile di connettersi), irritabilità e disagio quando non hanno accesso alla rete, oltre a impulsività e compromissione delle capacità cognitive. Questo disturbo è spesso associato ad altri problemi psichiatrici, tra cui depressione, ansia sociale, disturbi di rabbia e dipendenza da sostanze. Studi neuroscientifici, come quelli pubblicati sull’American Journal of Psychiatry, hanno dimostrato che l’abuso della rete altera il sistema di ricompensa del cervello, favorendo una ricerca continua di gratificazione immediata, tipica delle interazioni virtuali come i “like” e i commenti sui social media.

In adolescenza, la situazione si complica ulteriormente a causa della delicata fase di sviluppo identitario. L’immersione nel mondo virtuale, descritta dal filosofo Jean Baudrillard come un’esperienza in cui “ci si tuffa” senza confrontarsi con la realtà, può confondere i giovani su chi sono realmente e su chi vogliono diventare. La sperimentazione di identità virtuali in questa fase della vita può aumentare il rischio di alienazione sociale e ostacolare la costruzione di un progetto personale radicato nella realtà.
La prima ricerca sistematica sul fenomeno, condotta dalla dottoressa Kimberly Young nel 1996, ha evidenziato come l’abuso della rete possa provocare isolamento sociale e una significativa riduzione della qualità della vita. Da allora, la comunità scientifica ha approfondito lo studio della IAD e delle sue varianti, proponendo trattamenti basati su approcci multidisciplinari che coinvolgono psicologi, psichiatri e pedagogisti. Interventi educativi e terapeutici mirano ad aiutare i giovani a sviluppare un uso consapevole e moderato della rete, promuovendo al contempo il recupero delle relazioni reali e il rafforzamento dell’autostima.
In conclusione, la dipendenza da Internet rappresenta una delle maggiori sfide per la società contemporanea. Il riconoscimento della sua natura tecnica e scientifica è essenziale per sviluppare strategie preventive e terapeutiche efficaci. Solo attraverso un approccio integrato sarà possibile aiutare le nuove generazioni a trovare un equilibrio tra la dimensione virtuale e quella reale, riducendo il rischio di alienazione e promuovendo una crescita personale sostenibile e autentica.