La “mamma dell’Erasmus” e la pedagogia dello spostamento
1. La visione di una donna che ha cambiato l’Europa
Sofia Corradi, scomparsa a Roma il 17 ottobre 2025, non fu soltanto un’accademica o una consulente universitaria. Fu una visionaria dell’educazione.
Quando negli anni ’60 si vide negare in Italia il riconoscimento del proprio master ottenuto alla Columbia University, comprese che il sapere – se resta chiuso nei confini – non genera civiltà. Da quel rifiuto nacque un’idea che avrebbe attraversato le generazioni: l’Erasmus, divenuto dal 1987 uno dei più potenti strumenti di mobilità culturale al mondo.
Corradi non costruì solo un programma di studio, ma una pedagogia della mobilità: l’idea che l’apprendimento non si compia soltanto sui libri, ma anche nelle strade, nei caffè, nelle stazioni, nei gesti imprevisti dell’incontro.
2. Il viaggio come antropologia dell’anima
Ogni partenza è una forma di nascita. L’Erasmus, più che un progetto accademico, è un rito di passaggio: si lascia la casa, la lingua, l’ordine simbolico della propria quotidianità per entrare in un orizzonte altro.
L’essere umano, scriveva l’antropologo Victor Turner, cresce nella “liminalità”, in quello spazio di sospensione dove le categorie abituali si dissolvono e si ricostruisce un nuovo sé.
Lo studente che parte non compie solo un viaggio geografico: attraversa se stesso, affronta la solitudine, l’adattamento, la nostalgia, la libertà.
È in quella frattura che si apre la possibilità della crescita. Si impara a vivere con meno certezze e più relazioni, si sostituisce il possesso con la scoperta, l’abitudine con l’ascolto.

3. La relazione come orizzonte educativo
Incontrare l’altro significa misurarsi con l’imprevisto.
L’esperienza Erasmus non è solo accumulo di crediti formativi, ma costruzione di capitale umano e relazionale: il giovane impara la grammatica delle culture, decifra l’alterità, scopre che la verità non è monolingue.
È un atto profondamente educativo, perché educare significa letteralmente “trarre fuori” – tirare l’essere umano fuori dal recinto del già noto, verso ciò che può diventare.
Sofia Corradi aveva compreso che la vera formazione è un’esperienza di spaesamento: un gesto di coraggio che mette in discussione identità e abitudini.
Il viaggio educa all’empatia, alla diplomazia interiore, alla pazienza. È il contrario dell’ideologia: non impone un pensiero, ma lo amplia.
4. L’Erasmus come culla dell’identità europea
Più che un programma di studio, l’Erasmus è stato un laboratorio antropologico dell’Europa.
Milioni di giovani hanno imparato a pensarsi cittadini di un continente prima ancora che di una nazione. Nelle residenze universitarie, nei corridoi, nelle serate condivise, si è formata una generazione che ha appreso la grammatica dell’incontro.
Il viaggio è diventato così strumento di pacificazione: conoscere un volto diverso, una storia diversa, un accento diverso significa dissolvere il pregiudizio.
In questo senso, l’Erasmus è stato – e rimane – una pedagogia della pace.
5. Psicologia dello spostamento e della scoperta
La mobilità formativa produce effetti psicologici profondi:
- autonomia emotiva, attraverso la gestione della distanza e della solitudine;
- resilienza cognitiva, nel sapersi adattare a contesti nuovi;
- plasticità relazionale, nel rinegoziare i propri codici affettivi;
- consapevolezza di sé, poiché lo sguardo dell’altro diventa specchio.
L’Erasmus è quindi una forma di “psicoterapia sociale” ante litteram: spinge a uscire dalla comfort zone, a riscrivere le mappe interiori del possibile.
6. Eredità di una mente libera
La morte di Sofia Corradi non è la fine di un progetto, ma la continuità di un’idea: l’educazione come viaggio e il viaggio come educazione.
In un tempo in cui il digitale tende a sostituire l’esperienza, il messaggio di Corradi è di una lucidità sorprendente:
“Il mondo non si comprende da fermi. Bisogna muoversi, non solo con i piedi ma con la mente.”
Il suo sogno era un’Europa in cui la conoscenza si muove e, muovendosi, costruisce ponti.
E in effetti, ogni giovane che parte, con una valigia leggera e un dizionario nuovo, continua a edificare quella cattedrale invisibile che chiamiamo integrazione.
7. Conclusione: partire per tornare diversi
Il viaggio, quando è autentico, non è mai un’evasione ma un ritorno.
Tornare dopo un’esperienza Erasmus significa rientrare con occhi nuovi: il mondo non è cambiato, ma siamo cambiati noi.
Sofia Corradi ci lascia questo lascito: che la vera formazione non è solo l’accumulo di saperi, ma la capacità di abitare il mondo con gratitudine, apertura e consapevolezza.



























