Autore: admin

  • Educare alla sessualità: oltre il consumo, verso una relazione autentica

    Educare alla sessualità: oltre il consumo, verso una relazione autentica

    Introduzione

    L’educazione alla sessualità in adolescenza costituisce una delle sfide più delicate e decisive della scuola e della famiglia contemporanea. Lungi dall’essere mera trasmissione di nozioni biologiche o precauzioni igienico-sanitarie, essa richiede un’antropologia di riferimento capace di orientare la persona verso una maturazione integrale, dove la sessualità non sia ridotta a consumo, ma riconosciuta come linguaggio di relazione, crescita e condivisione.

    Antropologia relazionale come fondamento

    L’adolescente, posto di fronte alle trasformazioni corporee e identitarie, ricerca significati profondi attraverso la propria esperienza affettiva. È qui che una visione antropologica relazionale diviene imprescindibile: l’essere umano non si definisce solo in termini di istinto, ma come soggetto in relazione, in cui l’incontro con l’altro rappresenta un cammino di crescita reciproca.
    La sessualità, in tale prospettiva, non è un atto isolato, ma la conseguenza di dinamiche di fiducia, comunicazione e riconoscimento reciproco.

    Il rischio del consumismo sessuale precoce

    I dati epidemiologici confermano un abbassamento progressivo dell’età del primo rapporto sessuale (in Italia tra i 15 e i 16 anni, ISTAT 2023). Parallelamente, si registra un aumento di comportamenti a rischio, dal sexting all’esposizione precoce a contenuti pornografici. Questo fenomeno, che potremmo definire consumismo sessuale precoce, veicola un messaggio illusorio: la sessualità come oggetto di mercato e non come incontro esistenziale.
    Tale dinamica produce fragilità psichiche, compromettendo lo sviluppo di una sana capacità di scelta e di elaborazione affettiva.

    La scuola come spazio educativo privilegiato

    La scuola, lungi dall’essere luogo neutro, rappresenta un laboratorio di convivenza e di crescita. L’educazione alla sessualità non può limitarsi a interventi occasionali, ma deve inserirsi in un progetto formativo coerente, capace di integrare dimensioni psicologiche, etiche, corporee e sociali.
    Si tratta di promuovere una pedagogia della responsabilità, dove il corpo non sia ridotto a oggetto, ma riconosciuto come dimensione essenziale della persona, dotata di dignità e potenzialità relazionali.

    Verso una sessualità come linguaggio di vita

    Educare significa restituire ai ragazzi la possibilità di comprendere che la sessualità non è il punto di partenza, bensì l’approdo di una relazione che ha già conosciuto la cura, la fiducia e il rispetto. Solo in questo orizzonte l’atto sessuale perde il carattere consumistico e diviene esperienza di autentica reciprocità.
    L’adolescente che impara a leggere la sessualità come narrazione di sé e dell’altro sarà un adulto più capace di vivere la propria intimità con responsabilità e libertà interiore.

  • Il complesso edipico: genealogia psicoanalitica di un paradigma fondativo

    Il complesso edipico: genealogia psicoanalitica di un paradigma fondativo

    Introduzione

    Il complesso edipico rappresenta una delle strutture cardine della teoria psicoanalitica freudiana e continua a costituire un dispositivo ermeneutico imprescindibile nello studio dello sviluppo psicodinamico infantile. Introdotto da Sigmund Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) e successivamente rielaborato in scritti più maturi, il concetto assume valenza universale nell’esplicitare i processi attraverso cui il soggetto costruisce la propria identità, la dimensione della legge e il rapporto con la desiderabilità dell’Altro.

    Definizione tecnica

    Il complesso edipico designa l’insieme di fantasie inconsce e di investimenti libidici che il bambino, attorno ai 3-6 anni, rivolge nei confronti del genitore di sesso opposto, vissuto come oggetto privilegiato di amore e desiderio. Parallelamente, il genitore dello stesso sesso viene percepito come rivale e ostacolo, catalizzando sentimenti ambivalenti di ostilità, gelosia e al contempo di identificazione.

    Dal punto di vista tecnico, tale dinamica costituisce la matrice originaria del Super-Io, in quanto l’interiorizzazione della figura genitoriale frustrante o proibente determina la costruzione delle istanze morali e normative che regolano la vita psichica adulta.

    Dimensione simbolica e strutturale

    Il complesso edipico non è riducibile a un mero conflitto pulsionale. Esso si configura piuttosto come nucleo strutturante della soggettività, nella misura in cui introduce il bambino all’ordine simbolico, al riconoscimento del limite e alla necessità della rinuncia pulsionale. Come sottolinea Jacques Lacan, l’Edipo va interpretato non solo come vicenda familiare, bensì come “funzione del Nome-del-Padre”, ossia la possibilità di accesso al linguaggio, alla legge e al desiderio mediato dall’Altro.

    Aspetti evolutivi e clinici

    Lo scioglimento del complesso edipico, che avviene normalmente intorno alla latenza (6-11 anni), rappresenta un passaggio imprescindibile verso l’acquisizione di una identità sessuata stabile e di una più complessa organizzazione relazionale.
    In psicopatologia, fissazioni o regressioni a tale fase possono manifestarsi in diverse configurazioni:

    • nevrosi ossessive, nelle quali la colpa edipica permane come nodo irrisolto;
    • disturbi dell’identità e difficoltà nelle relazioni oggettuali;
    • configurazioni di dipendenza o di rivalità patologica.

    Attualità del concetto

    Nonostante le critiche provenienti da approcci post-freudiani, femministi e neuroscientifici, il concetto mantiene una forza esplicativa significativa. Recenti studi interculturali (Shweder, 2003; Chodorow, 2012) dimostrano come la dinamica edipica si presenti con modulazioni differenti nei vari contesti sociali, ma permanga come struttura simbolica universale nell’organizzazione del desiderio e dell’interdizione.

    Conclusione

    Il complesso edipico, lungi dall’essere un relitto teorico, resta una chiave interpretativa fondamentale per la comprensione del divenire soggettivo, delle dinamiche familiari e delle configurazioni cliniche. La sua attualizzazione nel contesto odierno richiede uno sguardo comparativo e transculturale, capace di integrare i paradigmi psicoanalitici con le neuroscienze affettive e la psicologia dello sviluppo.

  • Disturbo Oppositivo Provocatorio nei bambini e negli adolescenti.

    Disturbo Oppositivo Provocatorio nei bambini e negli adolescenti.

    Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è una delle sfide educative più complesse che i genitori possano affrontare. Non si tratta di semplici “capricci”, ma di un quadro clinico caratterizzato da comportamenti oppositivi, provocatori e polemici che logorano la vita familiare e scolastica. Molti genitori arrivano allo studio dello psicologo con la stessa domanda: “Come si spegne la polemica? Dobbiamo dire sempre sì, anche quando non dovremmo?”

    La risposta è no: dire sempre sì non aiuta, ma nemmeno lo scontro continuo è la strada. Serve un approccio educativo basato su fermezza calma, regole chiare e strategie comunicative efficaci.

    Disturbo Oppositivo Provocatorio in età infantile

    Nei bambini piccoli il DOP si manifesta con:

    • rifiuto di eseguire compiti semplici,
    • opposizione sistematica agli adulti,
    • scoppi d’ira frequenti,
    • sfida costante alle regole.

    In questa fase la gestione passa soprattutto dal contenimento emotivo e dall’insegnare gradualmente la tolleranza alla frustrazione.

    Disturbo Oppositivo Provocatorio in adolescenza

    Quando il DOP arriva all’adolescenza, la situazione si complica. L’oppositività si intreccia con la fisiologica ricerca di autonomia tipica di questa età.

    Caratteristiche principali in adolescenza:

    • Sfide più forti: i “no” diventano aperti atti di ribellione, spesso davanti ai pari o agli insegnanti.
    • Conflitti familiari accesi: ogni regola diventa terreno di scontro, con escalation che possono degenerare in rottura del dialogo.
    • Rischi maggiori: aumento della possibilità di comportamenti a rischio (uso di sostanze, bullismo, abbandono scolastico).
    • Autostima fragile: dietro la rabbia c’è spesso un senso di inadeguatezza non riconosciuto.

    Strategie educative per genitori di adolescenti con DOP

    1. Regole poche ma chiare – un adolescente con DOP non tollera il controllo costante, ma ha bisogno di confini stabili.
    2. Dialogo senza prediche – comunicare in modo diretto, evitando sermoni infiniti che innescano la sfida.
    3. Responsabilità condivisa – coinvolgere l’adolescente nella definizione delle regole aumenta la percezione di controllo.
    4. Gestione della rabbia – insegnare tecniche di autoregolazione emotiva (respirazione, sport, musica, attività creative).
    5. Alleanza con la scuola – fondamentale un fronte educativo comune tra docenti e genitori.

    Consigli pratici per spegnere la polemica

    • Evitare di reagire alle provocazioni con urla.
    • Usare il sì condizionato (“Sì, puoi uscire… quando hai finito lo studio”).
    • Rinforzare i comportamenti positivi anche se minimi.
    • Restare calmi e non alimentare la spirale di sfida.
    • Cercare un supporto psicologico specializzato quando il conflitto supera la gestione familiare.

    Conclusione

    Il Disturbo Oppositivo Provocatorio, sia nei bambini sia negli adolescenti, non si affronta con il “sì” a tutti i costi, ma con no coerenti, regole chiare e capacità di mantenere la calma. Nell’adolescenza la sfida è più complessa, ma anche più decisiva: gestire la ribellione senza spegnere la personalità significa trasformare il conflitto in un percorso di crescita.

  • Un nuovo anno scolastico

    Un nuovo anno scolastico

    Pensieri sparsi per gli insegnanti.

    Caro collega

    l’inizio di un nuovo anno scolastico porta con sé più interrogativi che certezze. La scuola italiana si trova oggi a fronteggiare sfide complesse e inedite, che interpellano tanto la pedagogia quanto la politica educativa.

    Le recenti indicazioni del Ministro Valditara pongono attenzione a due nodi cruciali: l’uso regolamentato degli smartphone e l’ingresso dell’intelligenza artificiale nei processi formativi. Sono strumenti che non possono essere liquidati come nemici, ma che devono essere governati con consapevolezza: la loro presenza chiede di ripensare metodi, contenuti e ruoli educativi.

    Neurodivergenze e ansia scolastica

    Sempre più evidenti sono i bisogni legati alle neurodivergenze e al diffondersi dell’ansia scolastica. Non si tratta di emergenze isolate, ma di fenomeni strutturali che chiedono di riformulare le programmazioni didattiche con maggiore flessibilità. La scuola è chiamata a diventare realmente inclusiva, capace di piegarsi senza spezzarsi.

    In questo senso, ciascun docente dovrebbe sentirsi, almeno in parte, insegnante di sostegno: non per sostituirsi a figure specialistiche, ma per riconoscere che la conoscenza cresce soltanto se trova terreno fertile nella relazione educativa.

    La questione della dignità

    C’è poi un capitolo che riguarda da vicino la condizione degli insegnanti: gli stipendi. L’Italia resta in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Non è una questione meramente economica: più risorse significano più dignità professionale, più tempo per la formazione, più possibilità di crescita.

    Occorrerebbe introdurre un diritto a un anno sabbatico ogni sette, destinato all’aggiornamento, allo studio e alla ricerca. Sarebbe un investimento sulla qualità dell’istruzione, non un privilegio individuale.

    Una riflessione conclusiva

    Italo Calvino scriveva: «La scuola è il luogo dove si impara a leggere il mondo e a scriverlo di nuovo».
    Questa è la vera sfida: preservare la missione educativa della scuola italiana, rinnovandola senza tradirne il senso profondo.

  • Bed Rotting: il fenomeno del “restare a letto”

    Bed Rotting: il fenomeno del “restare a letto”

    Introduzione

    Negli ultimi mesi, soprattutto nei social network frequentati da giovani e adolescenti, ha preso piede un termine suggestivo: bed rotting. Tradotto letteralmente, significa “marcire a letto”. Dietro questa espressione volutamente provocatoria si cela una pratica diffusa: trascorrere intere giornate a letto, tra serie tv, scroll infinito, snack e inattività, quasi a voler sospendere il mondo esterno.

    Ma di cosa si tratta realmente? È un semplice trend o un campanello d’allarme psicologico?

    Un sintomo mascherato da “self-care”

    Il bed rotting viene spesso presentato come una forma di auto-cura: concedersi una pausa radicale, spegnere gli impegni e rifugiarsi in uno spazio protetto. In alcuni casi, brevi momenti di questo tipo possono avere una funzione rigenerativa, soprattutto in contesti di stress acuto.

    Tuttavia, diversi studi di psicologia clinica segnalano che l’inattività protratta è strettamente correlata a sintomi depressivi, disregolazione emotiva e comportamenti di evitamento. La ricerca condotta da Henkel e colleghi (2010) mostra come l’eccessiva permanenza a letto sia un predittore di disturbi depressivi maggiori e di peggioramento della qualità del sonno.

    La cornice psicopatologica

    Il bed rotting può essere letto come una risposta passiva a:

    • ansia scolastica e lavorativa, dove il letto diventa rifugio;
    • burnout: negli studenti universitari, la sindrome da esaurimento si traduce spesso in inattività prolungata;
    • depressione: il sintomo cardine è proprio l’anedonia, ossia l’incapacità di trarre piacere da attività quotidiane.

    Uno studio pubblicato sul Journal of Affective Disorders (2022) ha evidenziato come la “ruminazione a letto” sia strettamente legata all’aumento di pensieri negativi e all’aggravarsi della sintomatologia ansioso-depressiva.

    Psicologia delle nuove generazioni

    Non va trascurato l’aspetto culturale. Nella Generazione Z, l’atto di “restare a letto” viene talvolta rivendicato come gesto politico contro l’iper-produttività e il culto della performance. Tuttavia, la linea di confine tra resistenza culturale e rischio clinico è sottile: quando il bed rotting diventa abitudine costante, può trasformarsi in un circolo vizioso di isolamento e perdita di motivazione.

    Strategie di intervento clinico

    Uno psicologo clinico, di fronte a questo fenomeno, non si limita a stigmatizzare, ma:

    • indaga funzioni psicologiche e contesti relazionali che portano al ritiro;
    • lavora su tecniche di attivazione comportamentale, per spezzare il ciclo dell’inattività;
    • incoraggia la regolazione del ritmo sonno-veglia, compromesso da lunghe permanenze a letto;
    • utilizza strumenti di psicoeducazione per distinguere riposo rigenerativo da evitamento patologico.

    Conclusione

    Il bed rotting non è soltanto un trend social, ma un fenomeno clinicamente rilevante, specchio di un malessere diffuso nelle nuove generazioni. Se da un lato può rappresentare un momentaneo bisogno di riposo, dall’altro rischia di celare forme più gravi di disagio psicologico.

    In questo senso, come ricorda il DSM-5, l’elemento discriminante non è il comportamento in sé, ma il grado in cui esso compromette il funzionamento sociale, scolastico e lavorativo.

  • Perché Agostino è più attuale di Freud

    Perché Agostino è più attuale di Freud

    La confessione come atto di verità

    Nel tempo in cui l’“io” si moltiplica in selfie e diagnosi, dove la confessione ha perso la sua dimensione sacra per farsi narrazione social o seduta di terapia, riscoprire Agostino può non solo sorprendere, ma persino guarire.

    Il vescovo d’Ippona non si limita a raccontare sé stesso: egli interroga l’abisso dell’anima, cercando in ogni battito interiore il riflesso di un Altro. Nelle Confessiones non c’è solo autobiografia, ma una forma radicale di autocoscienza, un’apertura alla luce che scandaglia il cuore più di quanto non faccia l’interpretazione dei sogni.

    Agostino e Freud: due modelli di profondità

    Freud ha aperto le porte dell’inconscio, ma Agostino ha abitato le stanze della coscienza. Il primo cerca le cause nascoste, il secondo cerca il senso. Freud decifra, Agostino ascolta. Entrambi scavano, ma con utensili diversi: lo psicoanalista con la parola analitica, il teologo con il silenzio orante.

    Se Freud ha dato voce ai traumi, Agostino ha dato voce al desiderio che salva. Non è forse questo il nodo cruciale? Oggi la psicologia rischia di fermarsi all’origine del male, mentre Agostino osa chiedere: “Che cosa amo, quando amo il mio Dio?” (Confessioni X,6,8). Una domanda che oltrepassa il passato per orientare il futuro.

    Il cuore inquieto dell’uomo moderno

    Agostino sapeva che non si guarisce solo comprendendo, ma orientando. In un tempo in cui l’analisi spesso si chiude nell’autoreferenzialità dell’“io ferito”, egli offre una via ulteriore: la trascendenza.

    Scrive: “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Conf. I,1,1). Un’inquietudine che non cerca solo una spiegazione, ma una casa.

    Freud leggeva i simboli, Agostino li abitava. Il primo era medico dell’inconscio, il secondo pellegrino del cuore.

    Perché Agostino è più attuale

    Oggi abbiamo strumenti diagnostici, terapie brevi, app per la meditazione e per il respiro. Eppure la fame d’interiorità resta. Anzi, cresce. In questo scenario iperanalitico e spesso iperfragile, Agostino parla con forza nuova.

    Perché non offre tecniche, ma uno sguardo verticale.

    Perché non propone la “liberazione dai sintomi”, ma l’integrazione dell’essere.

    Perché non cerca semplicemente la causa del dolore, ma l’origine del senso.

    Agostino non è un’alternativa a Freud: è la sua profondità perduta. La sua introspezione teologica è ciò che manca a una psiche che ha dimenticato l’anima.

  • Open School del Terzo Paradiso

    Open School del Terzo Paradiso

    La scuola parentale che rivoluziona l’educazione.

    Introduzione

    Negli ultimi anni la città di Biella è diventata un laboratorio educativo internazionale grazie alla nascita della Open School del Terzo Paradiso, un progetto scolastico parentale complementare alla scuola statale. Nato nel 2021 su iniziativa di Cittadellarte – Fondazione Pistoletto e dell’associazione Associazionedidee, questo modello ha attirato l’attenzione di pedagogisti, famiglie e ricercatori di tutta Italia. La sua originalità risiede nella capacità di coniugare arte, comunità ed educazione, secondo i principi del “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto e del concetto di Learning Arcipelago.

    Che cos’è l’Open School del Terzo Paradiso

    L’Open School non è una semplice scuola privata o un doposcuola innovativo. È una scuola parentale complementare, riconosciuta come esperienza educativa autonoma ma in dialogo con il sistema scolastico nazionale. Accoglie bambini tra i 6 e gli 11 anni e propone un percorso che integra le discipline tradizionali con laboratori di arte, natura, filosofia, educazione civica, digitale e performativa (si pensi all’uso del circo come strumento didattico).

    Al centro vi è la visione che “l’educazione è un ecosistema”, non confinato nelle mura scolastiche ma diffuso nei luoghi di cultura e di comunità: musei, biblioteche, cooperative sociali, spazi urbani, orti condivisi.

    Il modello pedagogico: il Learning Arcipelago

    La filosofia educativa dell’Open School si ispira al concetto di Learning Arcipelago, ossia un arcipelago di luoghi e saperi collegati da ponti e connessioni. Non una scuola-isola, ma una scuola-rete.

    I tratti distintivi:

    • Didattica diffusa: la città e il territorio diventano aula estesa.
    • Comunità educante: genitori, insegnanti, artisti, operatori sociali partecipano al progetto.
    • Interdisciplinarità: arte, scienza e tecnologia dialogano costantemente.
    • Governance partecipata: le decisioni educative sono frutto di co-progettazione tra famiglie, docenti e partner istituzionali.

    Si tratta, a tutti gli effetti, di una “pedagogia ecologica”, capace di collegare educazione formale, non formale e informale.

    La resilienza post-pandemica

    Durante la pandemia l’Open School si è distinta per la capacità di reinventarsi:

    • con podcast educativi curati da una redazione di bambini (“Comeapprenderemo”),
    • con residenze estive di apprendimento esperienziale,
    • con l’Academy della Comunità Educante, un percorso di formazione rivolto agli insegnanti e agli educatori, per rigenerare le pratiche scolastiche.

    Queste esperienze hanno mostrato come il progetto non sia solo una scuola alternativa, ma un cantiere pedagogico permanente.

    Numeri e organizzazione attuale

    Per l’anno scolastico 2024/25, la scuola conta 23 alunni regolarmente iscritti. Non si tratta di grandi numeri, ma di una scelta deliberata: la dimensione ridotta garantisce la personalizzazione dei percorsi, l’attenzione al bambino e l’implementazione di metodologie attive come il cooperative learning e la didattica laboratoriale.

    Impatto sul territorio e replicabilità

    La Open School del Terzo Paradiso non vuole restare un’esperienza isolata. Il suo obiettivo è contaminare il sistema scolastico pubblico, mostrando come sia possibile innovare attraverso:

    • alleanze educative territoriali,
    • formazione docenti,
    • partnership con istituzioni culturali,
    • coinvolgimento attivo delle famiglie.

    Il progetto appare scalabile e replicabile, configurandosi come un prototipo di scuola del futuro, in linea con le raccomandazioni europee su educazione inclusiva, sostenibilità e cittadinanza attiva (cfr. EU Key Competences for Lifelong Learning, 2018).

    Analisi pedagogica

    Dal punto di vista scientifico, l’Open School intercetta alcune tendenze cruciali dell’educazione contemporanea:

    1. Centralità dell’esperienza (Dewey, Montessori): l’apprendimento nasce dall’esperienza diretta.
    2. Educazione estetica e creativa (Nussbaum, Eisner): l’arte non è solo ornamento, ma motore cognitivo ed etico.
    3. Comunità educante (Bronfenbrenner): il contesto sociale è parte integrante del processo di crescita.
    4. Scuola come ecosistema (Morin): complessità e interconnessione sono la vera grammatica del sapere.

    Conclusione: un laboratorio per la scuola italiana

    L’Open School del Terzo Paradiso è oggi un piccolo ma straordinario esperimento che unisce arte, pedagogia e comunità. Non sostituisce la scuola statale, ma la completa e la sfida a ripensarsi.

    Come pedagogista e psicologo, osservo con interesse come questo modello biellese stia dimostrando che un’altra scuola è possibile: una scuola che educa non solo alla conoscenza, ma alla cittadinanza creativa, ecologica e solidale.

  • Sindrome di Tourette: storia, scoperte e applicazioni didattiche

    Sindrome di Tourette: storia, scoperte e applicazioni didattiche

    Introduzione

    La Sindrome di Tourette è un disturbo neuropsichiatrico che affascina e interroga il mondo scientifico da oltre un secolo. Si manifesta con tic motori e vocali che compaiono nell’infanzia e possono persistere, con andamento variabile, nel corso della vita. Ma chi fu lo scopritore di questa sindrome e come la ricerca ha contribuito a comprenderla?

    Chi fu Gilles de la Tourette

    Il nome della sindrome deriva da Georges Gilles de la Tourette (1857–1904), neurologo francese e allievo di Jean-Martin Charcot alla Salpêtrière di Parigi.

    Nel 1885 pubblicò uno studio pionieristico su 9 pazienti che presentavano tic involontari, ecolalia (ripetizione di parole), coprolalia (uso di termini osceni o socialmente inappropriati) e andamento cronico della sintomatologia.

    Il suo maestro, Charcot, decise di chiamare questo insieme di disturbi “malattia di Gilles de la Tourette” in onore del giovane studioso.

    Precedenti storici

    Già prima del 1885, alcuni casi erano stati documentati. Ad esempio:

    • Jean Itard (1825) descrisse la “Marchesa di Dampierre”, una donna con tic e imprecazioni verbali.
    • Tuttavia, fu Tourette a sistematizzare i sintomi e a definirne una cornice clinica chiara.

    Evoluzione delle conoscenze

    Negli anni successivi, la comprensione della sindrome è cambiata profondamente:

    • Oggi sappiamo che si tratta di un disturbo neurobiologico con forte componente genetica, non di una malattia psichiatrica pura.
    • È spesso associata a Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e altre condizioni del neurosviluppo.
    • Le ricerche di neuroimaging hanno evidenziato alterazioni nei circuiti dopaminergici dei gangli della base.

    Tourette e scuola: sfide e inclusione

    Dal punto di vista didattico, la sindrome può generare incomprensioni e stigmatizzazione. Gli insegnanti possono trovarsi disorientati di fronte a tic improvvisi o espressioni verbali fuori contesto.

    È fondamentale:

    • Sensibilizzare la classe per ridurre lo stigma.
    • Offrire strategie inclusive, come tempi più flessibili per le prove scritte o pause durante le attività.
    • Creare un ambiente accogliente, evitando punizioni per comportamenti involontari.

    Alcuni progetti pilota in Italia e in Europa hanno mostrato come la psicoeducazione rivolta a docenti e compagni riduca significativamente i livelli di isolamento degli studenti con Tourette.

    Conclusione

    La Sindrome di Tourette, da “curiosità clinica” descritta nel XIX secolo, è oggi riconosciuta come un disturbo del neurosviluppo complesso, che richiede interventi mirati non solo sul piano clinico ma anche educativo.

    Ricordare il lavoro pionieristico di Gilles de la Tourette ci aiuta a comprendere quanto la scienza e la scuola debbano camminare insieme per promuovere inclusione e benessere.

  • Disturbo misto, ansia e depressione: sintomi e cure

    Disturbo misto, ansia e depressione: sintomi e cure

    Introduzione

    Il disturbo misto d’ansia e depressione è una delle condizioni psicologiche più diffuse, ma spesso sottovalutate. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fino al 30% dei pazienti che si presentano dal medico di base mostra contemporaneamente sintomi ansiosi e depressivi, senza rientrare in una sola diagnosi specifica. Si tratta quindi di un quadro clinico “ibrido”, ma di forte impatto sulla qualità della vita.

    Cos’è il disturbo misto d’ansia e depressione

    Il termine indica la presenza simultanea di sintomi ansiosi (preoccupazioni, insonnia, irritabilità) e sintomi depressivi (umore depresso, perdita di interesse, stanchezza), senza che uno dei due domini prevalga nettamente.

    In ICD-10 viene riconosciuto come categoria autonoma, mentre nel DSM-5 è considerato una condizione per ulteriori studi. Questo riflette quanto sia clinicamente frequente ma ancora oggetto di dibattito diagnostico.

    Cause e fattori di rischio

    Le cause sono multifattoriali e includono:

    • Predisposizione genetica a disturbi dell’umore o d’ansia.
    • Eventi stressanti cronici (lutti, problemi economici, isolamento sociale).
    • Alterazioni neurobiologiche nei sistemi della serotonina e dopamina.
    • Stile di personalità: perfezionismo, tendenza alla ruminazione, bassa autostima.
    • Comorbilità mediche: dolore cronico, malattie cardiovascolari, disturbi tiroidei.

    Il rischio aumenta in chi ha già una storia familiare di depressione o ansia.

    Sintomi principali

    • Preoccupazioni costanti e difficoltà di concentrazione.
    • Stanchezza persistente, anche dopo il sonno.
    • Insonnia o risvegli frequenti.
    • Perdita di interesse nelle attività quotidiane.
    • Irritabilità e ipersensibilità emotiva.
    • Sensazione di vuoto o disperazione.

    Strategie di prevenzione e intervento

    Interventi psicologici

    • Psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT): efficace nel ridurre ruminazione e pensieri catastrofici.
    • Terapia interpersonale (IPT): indicata per chi presenta conflitti familiari o sociali.
    • Mindfulness e tecniche di rilassamento: utili per ridurre stress e ansia.

    Trattamento farmacologico

    • Antidepressivi SSRI (sertralina, escitalopram) spesso associati a buoni risultati.
    • Ansiolitici: usati solo per periodi brevi, per ridurre i sintomi acuti.

    Stile di vita

    • Attività fisica regolare (anche 30 minuti al giorno).
    • Alimentazione equilibrata ricca di omega-3.
    • Igiene del sonno con orari regolari.
    • Riduzione di alcol e caffeina.

    Centri di eccellenza e linee guida

    In Italia, il Ministero della Salute inserisce ansia e depressione tra le priorità del Piano Nazionale della Salute Mentale.
    A livello europeo, l’European Psychiatric Association (EPA) raccomanda un approccio integrato, che unisca psicoterapia, farmaci e interventi psicoeducativi.

    Molti Centri di Salute Mentale (CSM) regionali offrono programmi specifici per disturbi d’ansia e depressione con presa in carico multidisciplinare.

    Conclusione

    Il disturbo misto d’ansia e depressione non va considerato un “malessere minore”, ma una condizione clinica che richiede attenzione e trattamento mirato. Intercettare precocemente i sintomi significa prevenire una cronicizzazione e migliorare la qualità della vita.

  • Disturbo Non Verbale dell’Apprendimento (NVLD)

    Disturbo Non Verbale dell’Apprendimento (NVLD)

    Quando le parole non bastano

    Il Disturbo Non Verbale dell’Apprendimento (NVLD) è una condizione ancora poco conosciuta, ma di grande rilevanza in ambito scolastico e clinico. Colpisce bambini e adolescenti che, pur avendo buone competenze linguistiche, incontrano notevoli difficoltà in aree non verbali come la percezione visuo-spaziale, la coordinazione motoria e l’interpretazione delle emozioni altrui.

    Che cos’è il NVLD?

    Il NVLD non rientra ancora ufficialmente nei manuali diagnostici come categoria autonoma (nel DSM-5 viene menzionato solo in relazione ad altri disturbi specifici), ma diversi studi scientifici lo descrivono come un quadro peculiare.
    Si caratterizza per:

    • Discrepanza cognitiva: buone capacità verbali vs difficoltà nelle abilità visuo-spaziali.
    • Difficoltà di coordinazione: goffaggine motoria, problemi nella scrittura a mano o nelle attività sportive.
    • Problemi di organizzazione: fatica a orientarsi nello spazio (es. mappe, figure geometriche).
    • Fragilità socio-relazionali: difficoltà a cogliere segnali non verbali, ironia, espressioni facciali.

    A scuola: i segnali da non sottovalutare
    Un alunno con NVLD può:
    eccellere nelle materie umanistiche, mostrando un lessico ricco;
    incontrare ostacoli in matematica, geometria, fisica o in attività pratiche;
    apparire disorganizzato, smarrirsi facilmente nei corridoi o nei grafici;
    vivere incomprensioni con i coetanei, sentendosi isolato o frainteso.
    Un esempio pratico: uno studente di prima media che legge testi complessi con fluidità, ma non riesce a copiare una figura geometrica o a interpretare una tabella.

    Interventi psicoeducativi e strategie didattiche

    Il supporto deve essere mirato e integrato:

    • Psicoeducazione: aiutare il bambino e la famiglia a comprendere le difficoltà.
    • Didattica compensativa: privilegiare spiegazioni verbali chiare e sequenziali.
    • Terapie specifiche: logopedia (per la pragmatica del linguaggio), psicomotricità, training visuo-spaziali.
    • Insegnamento inclusivo: schemi, mappe concettuali verbali, uso di tecnologia assistiva.

    Centri di eccellenza in Italia ed Europa

    Il NVLD, pur essendo meno noto rispetto ai DSA, viene studiato e trattato in vari centri universitari e ospedalieri.

    In Italia:

    • IRCCS Stella Maris (Calambrone, Pisa) – centro di ricerca su neuropsichiatria infantile.
    • Fondazione Don Gnocchi (Milano e Roma) – riabilitazione neuropsicologica, disprassie e disturbi visuo-spaziali.
    • Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (Roma) – valutazioni neuropsicologiche avanzate e programmi di intervento.
    • Policlinico Universitario A. Gemelli (Roma) – centro di ricerca clinica sui disturbi dell’apprendimento.
    • Centro Medea – La Nostra Famiglia (Bosisio Parini, Lecco) – eccellenza nazionale per riabilitazione neuropsicologica infantile.

    In Europa:

    • Great Ormond Street Hospital (Londra) – reparto di neuropsichiatria infantile.
    • Karolinska Institutet (Stoccolma) – programmi di ricerca su neurodivergenze e apprendimento.
    • Université Catholique de Louvain (Belgio) – laboratorio di neuropsicologia dello sviluppo.

    Consigli terapeutici e strategie operative

    🔹 Terapia neuropsicologica personalizzata
    Esercizi computerizzati e giochi strutturati per rafforzare abilità visuo-spaziali e pianificazione.

    🔹 Psicomotricità e fisioterapia mirata
    Per migliorare coordinazione, motricità fine e grafomotricità.

    🔹 Logopedia e pragmatica del linguaggio
    Supporto per interpretare il linguaggio non verbale, l’ironia e le regole conversazionali.

    🔹 Terapia cognitivo-comportamentale (CBT)
    Per ridurre ansia, incrementare autostima e favorire la resilienza sociale.

    🔹 Parent training e supporto alla famiglia
    Aiutare i genitori a strutturare routine visive, favorire autonomia e valorizzare i punti di forza.

    🔹 Didattica inclusiva

    • spiegazioni orali passo-passo;
    • mappe concettuali verbali e schemi lineari;
    • strumenti digitali (audiolezioni, app per l’organizzazione);
    • riduzione dei compiti visuo-spaziali complessi, sostituiti da descrizioni verbali.

    Perché parlarne oggi

    Il NVLD è spesso confuso con l’ADHD, i DSA o lo spettro autistico ad alto funzionamento. Una diagnosi precoce consente invece di intervenire con strategie efficaci, prevenendo frustrazione e drop-out scolastico.