L’assente: un romanzo sul bullismo che scuote le coscienze

Il romanzo “L’assente” di Jan de Zanger si presenta come un’opera di rara intensità emotiva e profondità morale, un testo che scava con chirurgica precisione nei recessi della coscienza umana, laddove il senso di colpa e il dolore si annidano, sedimentandosi nel tempo fino a diventare insopportabili.

La narrazione si muove con uno stile essenziale, quasi lapidario, in cui ogni parola pesa come una condanna e ogni silenzio si fa eco di un tormento mai sopito. Il protagonista, Pieter Vink, rappresenta l’archetipo dell’adulto in fuga dal proprio passato, ma incapace di sottrarsi all’inesorabile richiamo della memoria. L’invito alla celebrazione del centenario della sua vecchia scuola si configura come una trappola dell’anima, un’improvvisa apertura di quel vaso di Pandora che per venticinque anni aveva cercato di sigillare. Il suo disagio è palpabile, le amnesie selettive un grido di autodifesa contro un ricordo che non vuole affiorare, eppure lo sovrasta.

Il punto nevralgico del romanzo è il banco vuoto di Sigi Boonstra, presenza-assenza che grava sulle coscienze dei compagni di classe come un monito ineluttabile. Sigi, il ragazzo timido, il piccolo genio respinto, il fragile corpo esposto al ludibrio dei bulli, diventa il simbolo dell’ingiustizia taciuta, della violenza normalizzata, del male banale che si consuma nell’indifferenza collettiva. Il suicidio di Sigi, precipitato sotto un treno poco prima dell’esame di maturità, non è un episodio relegabile al passato, bensì una ferita aperta che reclama giustizia. Pieter, con la sua indagine interiore, diviene il testimone involontario di una tragedia che il tempo non ha potuto cancellare.

L’autore riesce con mirabile maestria a costruire un racconto in cui il lettore si trova costretto a interrogarsi, a prendere posizione, a chiedersi cosa avrebbe fatto al posto dei protagonisti. La sofferenza di Sigi non è narrata con toni melodrammatici, ma con la cruda freddezza di una realtà ineluttabile: un destino scritto nelle dinamiche del branco, nell’assenza di una guida adulta capace di spezzare il ciclo della crudeltà, nell’omertà che trasforma il silenzio in complicità.

La scelta dell’autore di dare voce non alla vittima, ma ai carnefici e agli spettatori passivi, rende il romanzo ancora più disturbante. Non c’è conforto, non c’è catarsi immediata: la verità emerge a poco a poco, come un corpo trascinato a riva dalle onde. Ed è una verità dolorosa, inaccettabile, che pone ogni lettore di fronte alla propria responsabilità morale.

Se “L’assente” è un libro che scuote nel profondo, lo si deve anche alla sua natura di specchio della società contemporanea. Il bullismo descritto nelle pagine del romanzo non è relegato a un’epoca passata: al contrario, continua a manifestarsi con spietata attualità nelle scuole di oggi, nei social network, nelle comunità giovanili. Sigi Boonstra è il volto di tutti quei ragazzi che si sono sentiti invisibili, umiliati, respinti fino a perdere il senso della propria esistenza.

La conclusione del romanzo, con Pieter che finalmente si fa carico del proprio fardello e affronta l’assemblea dei suoi ex compagni, rappresenta una presa di coscienza tardiva, ma necessaria. Non si tratta più di cercare il colpevole, bensì di riconoscere la propria parte di responsabilità, di guardare negli occhi la propria codardia, di smettere di fuggire.

L’assente” è un’opera che lascia il segno, un libro che merita di essere letto non solo dai ragazzi, ma anche dagli adulti, in particolare da chi ha il compito di educare e proteggere. Perché il vero orrore non risiede solo negli atti di bullismo, ma nel silenzio che li circonda. E ogni assenza pesa, in eterno, sul cuore di chi ha voltato lo sguardo altrove.