Bagni di realtà: la dura verità dietro il talento calcistico

lI sogno: diventare calciatori

In un’epoca dominata dal culto della performance e dell’immagine, il calcio rappresenta per migliaia di bambini e adolescenti l’archetipo moderno del riscatto e della gloria. Sacrifici, allenamenti estenuanti, la rinuncia a uscite con gli amici: tutto in nome di un pallone che rotola e di un futuro, si spera, radioso. Spinti dai modelli mediatici, da un sistema scolastico che spesso abdica al ruolo educativo in favore della celebrità, e da famiglie che investono emotivamente nel successo sportivo (e non solo) dei figli, molti ragazzi crescono accarezzando l’illusione di poter “sfondare”. Ma cosa succede quando il talento, pur presente, non basta? E soprattutto, quali sono gli errori che il sistema (famiglie, società sportive, allenatori) commette, minando spesso il benessere psicologico e la crescita di questi giovani atleti?

La realtà dei numeri

I numeri parlano chiaro: secondo una ricerca del CIES Football Observatory, solo lo 0,012% dei giovani tesserati nei settori giovanili italiani arriva a firmare un contratto da professionista in Serie A. È un’industria spietata, dove le logiche di mercato, gli interessi economici e le relazioni personali sovrastano spesso la meritocrazia e il talento. Il principio dell’“essere bravi” viene sostituito dal più disincantato “essere scelti”. Il talento è un dono, ma non è di certo una garanzia, se non è accompagnato dall’aspetto psichico e relazionale, dall’ambiente giusto, e perché no, anche da una buona dose di fortuna e di convergenze sincroniche. Essere al posto giusto nel momento giusto.

Identita monolitica: essere solo “il calciatore

Uno degli errori più gravi è ridurre l’identità di questi ragazzi al solo ruolo di calciatore. Ogni aspetto della loro vita ruota attorno al campo: la scuola passa in secondo piano, gli interessi extrasportivi vengono spesso trascurati, le relazioni sociali si concentrano prevalentemente sull’ambiente calcistico. Cosa succede quando il sogno si infrange, per un infortunio, per un cambio di categoria non superato, o semplicemente perché il talento, pur essendoci, non è sufficiente per il professionismo? Questi ragazzi si ritrovano spesso smarriti, senza un’identità solida al di fuori del rettangolo di gioco, con un senso di fallimento devastante. Molti giovani calciatori, pur dotati tecnicamente, vengono esclusi per motivi extracalcistici: un agente assente, una società non abbastanza visibile, una famiglia non abbastanza “strategica”. I criteri selettivi sono spesso opachi. Un recente servizio televisivo ha svelato quello che da tempo si sapeva.

L’illusione della meritocrazia

Nel mondo del calcio giovanile, anche ciò che non è normale diventa tollerabile, sepolto da una coltre di indifferenza. La selezione precoce, l’esclusione sociale, l’umiliazione pubblica durante le partite o gli allenamenti vengono percepite come “parte del gioco”. Ma in realtà, sono manifestazioni di una cultura sportiva malata, che trasmette messaggi tossici ai ragazzi: o sei il migliore, o non sei nessuno.

Psicologia della disillusione

La frustrazione che ne deriva può essere devastante. Gli adolescenti, in una fase esistenziale ancora fragile, vivono l’esclusione come un fallimento personale, come se il sogno infranto invalidasse la loro identità. La perdita di autostima, la depressione reattiva, l’ansia da prestazione sono problematiche sempre più presenti nei centri di psicologia sportiva.

Cosa dire a un ragazzo che sogna?

Sognare è lecito. Ma è doveroso educare al sogno e preparare al possibile fallimento. L’adulto – che sia genitore, insegnante o allenatore – ha il compito etico di accompagnare l’adolescente in un processo di crescita integrale, perché come scriveva Pier Paolo Pasolini, “un ragazzo ha diritto ai suoi sogni, ma anche al diritto di non vergognarsi se non si realizzano”.

Perché lo sport, se ben guidato, può insegnare la resilienza, la collaborazione, l’autodisciplina. Ma non deve mai diventare una trappola identitaria. Il talento non è una colpa, ma nemmeno una via obbligata. Si può essere felici, anche se non si diventa campioni.