“Quando lo sguardo si abbassa, non è solo il volto a piegarsi, ma l’intera possibilità dell’incontro.” D.L.
Sguardi bassi, anime disconnesse
In un’epoca in cui l’iperconnessione digitale è diventata cifra dominante dell’esistenza adolescenziale, gli sguardi bassi e disorientati si fanno sintomo silente ma eloquente di un malessere diffuso. Non si tratta solo di postura o timidezza: è la rappresentazione plastica di una generazione a testa china, inchiodata a uno schermo che ipnotizza, cattura, consuma.
Lo sguardo: specchio dell’incontro
Guardarsi negli occhi è gesto ancestrale di contatto, riconoscimento, reciprocità. È attraverso lo sguardo che il bambino costruisce la sicurezza del legame, il senso del sé e dell’altro. Ma cosa accade quando lo sguardo si spegne, si distoglie, si rifugia nello schermo? Il filosofo Byung-Chul Han scrive: “Il digitale indebolisce l’incontro autentico: si parla, ma non ci si guarda”. Così l’altro diventa solo contenuto, mai volto.

Cingersi i fianchi: un gesto che protegge
Quel gesto istintivo, quasi impercettibile, di chi si abbraccia da sé o si stringe i fianchi, tradisce un bisogno di contenimento, una risposta corporea alla vulnerabilità. In assenza di sguardi contenitivi – quelli che rassicurano, accolgono, confermano – il corpo si fa barriera. Non più ponte, ma guscio.
Deboli o schiavi?
Il dubbio rimane: sono giovani fragili, incapaci di reggere la complessità del reale, o sono schiavi inconsapevoli di una nuova forma di prigionia soft, dove lo smartphone diventa protesi dell’identità? Studi recenti (Twenge et al., 2023) evidenziano come l’uso eccessivo di dispositivi digitali sia correlato a un aumento significativo di ansia sociale, depressione e ritiro relazionale. Non è debolezza: è disconnessione esistenziale.
Una generazione senza occhi
Forse non è vero che non vogliono guardare. Forse non sono mai stati davvero visti. La testa china è il simbolo di chi non regge lo sguardo dell’altro perché non ha imparato a sostenere il proprio. E in questo paradosso, tra ipervisibilità social e invisibilità relazionale, si consuma il dramma di una generazione che cerca un volto ma trova uno schermo.
